REGGIO EMILIA – Antonio Ceraso, unico candidato in lizza per le elezioni del sindaco di Cutro (Crotone) il prossimo 27 novembre, è venuto nei giorni scorsi nella nostra città per incontrare la comunità di origine calabrese. Domenica, in un ristorante di Fogliano, ha partecipato a un pranzo organizzato dal costruttore Salvatore Salerno. Ad ascoltarlo c’erano più di 200 commensali. Tra loro, anche un consigliere comunale della maggioranza, Palmina Perri, eletta nella lista di sinistra Reggio E’.
Ceraso, che è stato a lungo comandante della polizia municipale prima a Cutro e poi a Crotone, ha espresso nette parole di condanna per la ‘ndrangheta. Nelle interviste rilasciate a Tg Reggio e ai quotidiani locali ha detto che Cutro deve ripudiare gli ‘ndranghetisti e che, se lui sarà sindaco, il Comune si costituirà parte civile nei processi per fatti di mafia.
A queste dichiarazioni di principio, però, il candidato sindaco ha aggiunto parole che hanno fatto drizzare le orecchie a chi conosce certe vicende. Parlando del processo Aemilia, ad esempio, Ceraso ha rispolverato la teoria delle “mele marce che ci sono dappertutto”. Mele marce? Le sentenze dei processi non parlano di mele marce, ma di organizzazioni criminali centinaia di persone, basate sul vincolo di sangue e su alleanze tra famiglie. Organizzazioni ben strutturate con capicosca, referenti territoriali, luogotenenti e armi, che usano l’intimidazione e la forza per affermare il proprio predominio. Ridurre tutto a una questione di mele marce significa svilire e banalizzare la natura del fenomeno ‘ndranghetistico.
Il candidato sindaco ha poi annunciato che “difenderà nelle sedi istituzionali le imprese a cui vengono negati i certificati antimafia, soprattutto in Emilia, Lombardia e Veneto”. Imprese che, a detta di Ceraso, appartengono a onesti cittadini cutresi che avrebbero la sola colpa di avere un lontano parente che ha commesso un reato. Di fatto, un attacco al prefetto Iolanda Rolli, che quest’anno ha già firmato 97 interdittive antimafia, e al gruppo interforze. Discorsi già sentiti 10-12 anni fa, ai tempi delle accuse contro il prefetto De Miro e del tentativo di accreditare la tesi di un’intera comunità ingiustamente criminalizzata.
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