REGGIO EMILIA – “Don Artoni per me è stato come un padre”: a Tg Reggio il ricordo di una delle persone che sono state più legate al sacerdote, ossia Matteo Iori, oggi presidente del consiglio comunale di Reggio e che per 20 anni è stato presidente della Papa Giovanni XXIII Onlus, la creatura di don Ercole.
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Fu un colpo di fulmine. Era il 1991 e Matteo Iori, classe 1970, stava effettuando un tirocinio alla Comunità Papa Giovanni XXIII. “Quando avrai finito di studiare, ti va di venire a lavorare da noi?”, gli disse don Ercole Artoni, Nacque così un rapporto consolidatosi nel corso del tempo e che ha portato più volte lo stesso Iori, oggi presidente del consiglio comunale di Reggio, ma per 20 anni presidente della Papa Giovanni onlus, a definire il sacerdote una sorta di secondo padre.
Il vero punto di forza di don Artoni è sempre stato, secondo Iori, “la capacità di vedere qualcosa di positivo in ognuno di noi, anche nelle persone più problematiche e difficili. Una delle farsi che amava di più era quella di papa Giovanni XIII che invitava a cercare ciò che ci unisce più di quello che ci divide, ed è una frase che ho cercato di fare anche mia”.
Iori auspica che la città di Reggio possa ricordare attraverso una iniziativa o una intitolazione la figura di don Artoni e dice: “Vorrei che fosse ricordato soprattutto come una persona vicina agli ultimi”.
L’intervento integrale di Matteo Iori
Tutti coloro che l’hanno conosciuto non possono che definire Don Ercole una persona straordinaria; nel senso etimologico del termine significa “fuori dall’ordinario”, e Don Ercole lo era certamente. Una vita piena di tantissimi avvenimenti, che paiono quasi incredibili se pensati vissuti da una sola persona; tant’è che il libro sulla sua vita (“Don Ercole Artoni, lo scomodo prete reggiano”) creò curiosità nazionali: dalla rivista Vanity Fair a una trasmissione di Maurizio Costanzo su Rai 1.
Don Ercole era colui che divenne famoso in tutta Italia perché prete eletto come indipendente nelle liste del PCI, era colui che occupava le case, che conobbe diversi brigatisti, che picchettava le fabbriche con gli operai, ma che fu anche inconsapevolmente al servizio di Gladio. Era un prete insolito che insieme agli studenti preparava in anticipo i piani di contestazione, che collaborò con Loris Malaguzzi, che aiutò lo sviluppo di missioni in Brasile, che andò a Mosca nella delegazione italiana contro la guerra del Vietnam e a Berlino nella Commissione disarmo; ma che finì anche in carcere in isolamento, che fu protetto dalla malavita reggiana, che fu sostenuto dal comitato delle prostitute, che conobbe la “Primula Nera” Paolo Bellini, che liberò un giovane rapito… e soprattutto che, nel frattempo, apriva le porte della sua canonica e della sua casa ai più poveri e ai più emarginati, divenendo uno dei primi a dare risposte concrete per affrontare il flagello della droga sin dagli anni ’70.
Don Ercole era una persona straordinaria. E come tale aveva tantissime virtù ma anche dei difetti, come tutti gli esseri umani; ma il suo grande amore per i più poveri e i più bisognosi faceva si che non si potesse che volergli profondamente bene e perdonargli ciò su cui non si era d’accordo. Per questo motivo ha sempre avuto intorno moltissime persone ad aiutarlo e a credere in lui: dai suoi famigliari, a cui va il mio abbraccio più forte, ai tanti amici.
Gli piaceva ricordare il 24 giugno del 1956, giorno nel quale divenne prete. Di quel giorno disse: “Fu il più bel giorno della mia vita”, ma si capì subito che il sacerdozio di Don Ercole sarebbe stato diverso da tanti altri: “C’era l’usanza di baciare le mani ai nuovi consacrati e quel giorno, in fila per me, c’era anche il Capo Cellula (il capo dei comunisti) di Villa Gaida. Lo ricordo ancora bene, perché fu un mezzo scandalo.” Molte volte le scelte di Don Ercole hanno creato “scandalo” nel mondo cattolico, ma le stesse scelte sono quelle che l’hanno portato ad aprire una comunità nella quale accogliere tossicodipendenti, detenuti, pazienti dell’Ospedale Psichiatrico Giudiziario. Una comunità che, anche grazie alla sua fede e alla sua guida, è cresciuta e negli anni ha accolto migliaia di persone.
Ora è giunto al termine del suo viaggio terreno e già lo immagino a creare qualche scompiglio in cielo con tutti quei “suoi ragazzi” che lo hanno preceduto in questi anni e magari insieme agli amici reggiani, come Don Lorenzo Braglia o Loris De Pietri, che come lui hanno dedicato la vita ad aiutare i tossicodipendenti a ritrovare sé stessi. Una vita spesa per gli altri seguendo la sua scelta di “cercare di seguire il Vangelo in modo coerente e di mettere in pratica l’avvertimento di mio padre di non fregare mai i poveri.”
Matteo Iori
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