REGGIO EMILIA – Maria Brini: una delle prime donne primario nella storia della nostra città, una città che si era già distinta nel valorizzare l’impegno delle donne. Sì, perché la strada per l’eguaglianza di genere nella medicina ha visto dei risultati molto positivi dal dopoguerra ad oggi; tuttavia il soffitto di cristallo, da rompere per raggiungere le posizioni apicali non è ancora del tutto infranto. Vero? Diventi “medica” nel 1966; anche a te chiedo da dove nasce la tua scelta formativa? Trotula, la prima e unica “magistra” della Scuola Medica di Salerno c’entra qualcosa?
“E’ una figura che mi ha ispirato e tuttora ci permette di cogliere la differenza nell’agire medico tra femminile e maschile. Trotula e le grandi donne mediche in realtà le ho scoperte dopo, strada facendo, ed ho capito cosa avevano significato per noi donne storie come quella di Agnodike che si travestiva da uomo per studiare e fare il medico, fino alle più vicine a noi come Rosalind Franklin che non aveva ricevuto il Premio Nobel, cosa dovevamo mettere in conto.
Ma per onestà devo dire che la scelta di fare medicina era una scelta interiore, quasi etica e ancora non avvertivo e non ero cosciente delle differenze e difficoltà per le donne ad intraprendere questa professione. Se qualcosa mi ha spinto a tener duro era piuttosto una specie di rivendicazione sociale ai diritti uguali per tutti e forse anche un segno di riconoscenza verso la mia famiglia che aveva creduto in me. Strada facendo le cose sono cambiate e anche il mondo intorno a noi è cambiato ma non con la stessa velocità in tutti gli ambiti, per le donne molti traguardi sono ancora lontani”.
Tante di noi, attive nell’associazionismo femminile, ti conosciamo come una donna impegnata a far valere la differenza di genere in ogni contesto, compreso quello della medicina di genere. In questo campo qual è stato il tuo impegno?
“Sono contenta di questa considerazione perché quando ho verificato, soprattutto sulla pelle di altre donne che osservavo con attenzione, quanto e come difficile fosse ancora il percorso da compiere, ho toccato con mano che occorrevano tenacia, solidarietà, sacrificio e molto coraggio. Nella mia famiglia le donne erano sempre state molto forti e sono state per me un esempio da emulare.
Sì, anche la Medicina di genere vuole non solo recuperare le diversità tra uomini e donne e non omologare le donne a piccoli uomini, ma riconoscere e dare il giusto peso alle differenze tra generi anche nello studio e nel trattamento delle patologie che vanno cercate e curate spesso in modo diverso”.
Torniamo con la memoria al 1977, quando vinci il concorso per il primariato nel Laboratorio di Analisi Chimico Cliniche dell’Ospedale di Reggio Emilia. Se allora qualcuno ti avesse chiesto se volevi essere nominata al femminile “la primaria”… tu cosa avresti risposto?
“Come tu ben sai, ho fatto molta resistenza all’utilizzo di parole come primaria, dottora, avvocata, le giudicavo una ferita al nostro italiano. L’accademia della Crusca mi ha smentito. Siccome questa è un’intervista sincera confesso che allora mi faceva molto piacere sentirmi chiamare il primario o dottore perché era troppo presto per me: devo dire che mi sembrava di aver raggiunto veramente la parità quando venivo nominata al maschile. Ho impiegato molto tempo a riconoscere l’utilità del femminile nei termini usati.
Mi sono accorta di quanto vedevo questo tema con occhi sbagliati, in un riunione di un Comitato di Pari Opportunità della nostra Regione quando una donna presente, che aveva raggiunti grandi successi, raccontava la sua storia e io gioivo per avere una storia simile, ma il suo giudizio su come era arrivata fino lì era del tutto negativo, ho dovuto fare parecchi ripensamenti ed autocritiche.
Da allora credo di avercela fatta e di aver superato molte delle difficoltà che ho incontrato: più o meno negli ultimi decenni della mia attività ero molto contenta di questo utilizzo dei termini al femminile che creava solidarietà tra le donne e manifestava l’impegno nel voler operare in tutte le occasioni nel riconoscimento del valore del femminile, ho cercato di incentivare il punto di vista femminile come ho potuto ed in ogni occasione, soprattutto quando con superficialità veniva fuori l’idea che fosse tutto ormai risolto, e venisse messo in qualche modo in silenzio il valore e la ricchezza delle differenze”.
Nel 2014 si tiene a Reggio un convegno nazionale intitolato “La violenza contro le donne – segni parlanti, occhi che ascoltano – semeiotica della violenza per un nuovo protagonismo della cura”. Ne sei una delle appassionate organizzatrici e una componente del Comitato scientifico. Gli atti diventano un numero della rivista trimestrale della F.N. degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli odontoiatri “La professione”: coinvolgere per una intera giornata uomini e donne delle professioni mediche, insieme a professionisti del mondo del diritto, sociologi, attiviste dei Centri Antiviolenza è un fatto straordinario; possibile perché?
“Finalmente abbiamo tolto il velo del silenzio, finalmente abbiamo dato coraggio, possibili aiuti e proposte per combattere questo fenomeno, il sottotitolo “segni parlanti, occhi che ascoltano” credo sia stato emblematico: cercare e guardare i segni, e poi esserci come medici e tanti altri professionisti coinvolti per dare risposte concrete, ma soprattutto agire”.
Si parla sempre di conciliazione di tempi di vita e di lavoro riferendosi alla esperienza delle donne: hai avuto una figlia, hai svolto una professione che richiedeva presenza e dedizione. E’ stato facile far convivere i due piani? Oggi, a tuo parere, è più o meno complesso per le donne che si trovano a svolgere la tua professione?
“Devo ammettere che in fondo non è stato difficile, a parte qualche rinuncia. Trasmettere e condividere con i nostri figli che quando il nostro lavoro è onesto, utile e facciamo capire loro che ci fa sentire in pace, può essere efficace come esempio per il loro percorso di vita e riesce a potenziare il legame affettivo che a loro ci lega”.
Natalia Maramotti
Chi è Maria Brini
Negli anni dal 1963 al 1966 è allieva interna dell’Istituto di Patologia Medica dell’Università di Bologna, dal 1966 al 1969 è assistente volontaria, incaricata e di ruolo del Laboratorio Arcispedale S. Maria Nuova di Reggio , avendo nel frattempo conseguito nel 1966 la Laurea in Medicina e Chirurgia presso l’Università di Bologna e l’anno successivo l’abilitazione alla professione presso la medesima Università . Tra il 1969 e il 1975 consegue la Specializzazione in Malattie del sangue presso l’Università di Modena, la Specializzazione in Medicina e Igiene Scolastica presso l’Università di Parma , l’ Idoneità Nazionale ad Aiuto di Laboratorio di Analisi Chimico-Cliniche e Microbiologia, l’ Idoneità Nazionale a Primario di Laboratorio di Analisi Chimico-Cliniche e Microbiologia. Nel contempo sotto il profilo lavorativo dal 1969 al 1977 è Aiuto di Laboratorio di Analisi Chimico Cliniche presso Arcispedale S. Maria Nuova di Reggio Emilia. Proprio nel 1977 diverrà Dirigente di struttura complessa, ossia Primario di Laboratorio di analisi Chimico Cliniche presso l’Arcispedale di Reggio Emilia. Nel 1997 viene nominata Direttrice del Dipartimento di Patologia Clinica e manterrà questi due ruoli sempre presso l’Arcispedale Santa Maria Nuova fino al 2006 anno della sue quiescenza.
Il suo impegno professionale ha abbracciato altri interessi per esempio partecipazione ai gruppi di regionali quali Controllo di Qualità ,Ematologia, Citofluorimetria , rete provinciale dei Laboratori dei Laboratori dalla programmazione dell’attività su base provinciale fino agli acquisti su base provinciale per quegli anni ancora considerate pionieristiche.
Al suo attivo ha molte pubblicazioni e la frequentazione di diversi corsi di perfezionamento tra i quali: Corso di perfezionamento in Biochimica presso l’Ospedale Niguarda di Milano, Corso di perfezionamento in Igiene Pratica presso l’Università di Parma, Corso di perfezionamento in Immunologia presso l’Ospedale Molinette di Torino, Corso di perfezionamento in Endocrinologia presso l’Ospedale S. Orsola di Bologna, Master per Direttore di Dipartimento presso la Regione Emilia-Romagna.