REGGIO EMILIA – Definisce le infiltrazioni mafiose degli ultimi trent’anni in Emilia-Romagna un “cancro” e ringrazia con orgoglio i magistrati che hanno contribuito a disvelarlo. Ribadisce l’esistenza di sentenze passate in giudicato. Esprime rammarico istituzionale nei confronti dell’ordine degli avvocati di Reggio, parla di “pure illazioni” ma va anche oltre, dicendo che “l’affermazione del fenomeno mafioso passa anche dai tentativi di delegittimazione di chi ha svolto e svolge il proprio servizio con dedizione”. E’ a dir poco netto e duro il comunicato diffuso dall’associazione magistrati regionale. Non usa mezzi termini la giunta esecutiva, riferendosi alle dichiarazioni dell’ex magistrato Roberto Pennisi, alla Dda dal 2012 al 2013. Pennisi ha sostenuto che gli fu impedito di “scavare” sui rapporti tra le cosche e il Pd, cosa smentita da molti magistrati ma anche dai tanti tribunali che hanno vagliato gli atti del processo, fino ad arrivare alla Cassazione.
Parole raccolte, oltre che da Forza Italia e Fratelli d’Italia, appunto anche dall’ordine degli avvocati reggiani, che nei giorni scorsi aveva chiesto che quelle affermazioni non fossero tralasciate. L’accusa tradotta è: all’epoca la Direzione distrettuale antimafia indagò solo su esponenti di centrodestra.
“Le indagini condotte dalla Dda della Procura di Bologna, fra tutte Aemilia, Grimilde e Perseverance, hanno consentito per prime di accertare l’autonoma presenza della ‘ndrangheta nel tessuto economico e sociale non solo emiliano-romagnolo, ma in tutto il Nord Italia”, un lavoro che non può essere scalfito “da parte di un’informazione parziale”, tuona l’associazione magistrati nel comunicato, e l’ordine degli avvocati, “nonostante sia stato parte del processo e del processo ha potuto studiare gli atti e contribuire direttamente alla formazione del compendio probatorio, avalla accuse – incomprensibilmente reiterate negli ultimi giorni da un ex magistrato non più in servizio – che non risultano essere mai state formulate nelle opportune sedi investigative e processuali”.
Una presa di posizione che “evita di confrontarsi con gli accertamenti dibattimentali”. Accuse che “risuonano come mere illazioni e rischiano di delegittimare un lavoro di enorme portata, condotto con serietà, professionalità, abnegazione e sacrificio personale. Si colgono in questo preoccupanti assonanze con quanto successo in passato in altre realtà che ci ha insegnato come l’affermazione del fenomeno mafioso passi anche dai tentativi di delegittimazione di chi ha svolto e svolge il proprio servizio con dedizione, costanza e doveroso approfondimento di fatti idonei ad integrare indizi di reato”.
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il comunicato stampa integrale
dell’Anm dell’Emilia Romagna
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