BRESCELLO (Reggio Emilia) – Scagionati in tribunale a Bologna dalla pesante accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. Sono presenti in aula gli ex sindaci di Brescello Giuseppe Vezzani e Marcello Coffrini quando, poco dopo le 9.30, il giudice Roberta Malavasi decreta per entrambi il non luogo a procedere “perché il fatto non sussiste”.
Dopo cinque “tappe” giudiziarie molto intense e combattute, per i due amministratori brescellesi si chiude così con il loro proscioglimento l’udienza preliminare. A monte, un’inchiesta molto articolata e a dir poco delicata coordinata dalla pm antimafia Beatrice Ronchi su fatti che vanno dal 2004 al 2014.
Nel giugno 2023 l’esplosione di un’indagine dalla portata non indifferente per la nostra provincia in chiave radicamento ‘ndranghetista e per Brescello in particolare, dato che stiamo parlando del Comune sciolto per mafia nel 2016, il primo in Emilia. Le motivazioni della decisione le conosceremo fra due mesi, comunque in punta di diritto pare profilarsi la valutazione del magistrato giudicante che, norma alla mano, avrebbe ritenuto come in diritto penale le responsabilità politiche dei sindaci non comprendano le decisioni prese dagli uffici comunali, in queste vicende brescellesi l’ufficio tecnico. Da qui, l’azzeramento dell’accusa sul sistematico asservimento dei due politici agli interessi in loco della ‘ndrangheta, con relativa richiesta di rinvio a giudizio.
All’uscita dall’aula nessun commento da parte del magistrato della Dda di Bologna: solo dopo la lettura delle motivazioni potrebbe maturare l’impugnazione del verdetto in Cassazione. Vedremo. Fuori dal tribunale non s’intrattiene con i giornalisti nemmeno Vezzani, molto provato dall’essersi ritrovato per quasi due anni sulla graticola giudiziaria. Lontano dai riflettori arriveranno per lui lacrime liberatorie, di felicità. Comunque, parla l’avvocato Valeria Miari che con il collega Alessio Fornaciari ha tutelato l’ex sindaco: “Imputazione paradossale, mise in atto tutte le azioni in suo potere contro la ‘ndrangheta”.
Dopo due non luoghi a procedere e nove patteggiamenti, resta in piedi in udienza preliminare a Bologna solo la posizione di Rosita Grande Aracri: la figlia 42enne del boss Francesco Grande Aracri ha l’imputazione più gravosa, cioè l’associazione mafiosa, è sarà giudicata a maggio con rito abbreviato.
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