
REGGIO EMILIA – “Bianco, ti mando due foto e la mia biografia, così avete l’articolo per quando morirò”. “Cav, non scherzare…”. “Stèr mia a discuter. At salùt”. E lo fece davvero: 26 marzo 2018, dopo quella telefonata l’email alle 20,59 arrivò davvero, perché in nessun modo riuscii a convincerlo a lasciar perdere. Ercole era fatto così. Fermo non sapeva stare. E allora, prima di affrontare un intervento per quel male che dopo una lunga battaglia lo ha portato via, preparò la sua “ultima pagina”. Una pagina che è rimasta nel frigo, come si dice in gergo, per oltre tre anni. E lì avrei voluto lasciarla.

Ercole Spallanzani con Paolo Simoncelli, papà del pilota Marco, in una premiazione organizzata dall’Ussi, il sindacato dei giornalisti sportivi
Se c’è una cosa che Ercole Spallanzani ha insegnato a generazioni di giornalisti reggiani, è senza dubbio il senso del dovere e del sacrificio. Non gli piacevano gli schizzinosi, e nemmeno i “poeti”, perché la vita di redazione è fatta anche di tanto lavoro oscuro al desk, di titoli, di impaginazione e di organizzazione. Un lavoro di “cucina”, perché tutto sia in ordine una volta in tavola. Era un fine conoscitore della città e delle sue dinamiche. Non gli sono mai mancate le fonti, e nemmeno le notizie. Ma il suo primo pensiero era chiudere le pagine per tempo. Pure troppo, per la verità, perché non era insolito trovarlo in redazione all’alba, da solo, a mettere avanti il lavoro della brigata.
Abbiamo continuato a sentirci fino all’ultimo. E anche se aveva il morale sotto i tacchi e la voce debole, non mancava mai di “indagare” sulle questioni di campo. L’ultima telefonata ieri mattina. Non ha risposto e non ha richiamato, come invece faceva sempre. Stamattina purtroppo ho capito perché.
La mia scheda, di Ercole Spallanzani
Nato a Scandiano nel 1941 ha frequentato l’Istituto Zanelli, diplomato nel 1960. Si è poi iscritto a Scienze Statistiche a Bologna, fra i primi a scegliere quella che sarebbe diventata la facoltà più importante e della quale oggi non si può fare a meno. Ha lavorato prima alla Federconsorzi, prima di vincere il concorso da Capo Stazione alle Ferrovie dello Stato, dove è stato assunto nel 1962. Ha concluso la carriera nelle Ferrovie come Dirigente Centrale nel 1982, ma dal 1965 aveva iniziato a scrivere prima per la Gazzetta di Reggio, poi per Stadio edizione bolognese, per oltre 15 anni. Iscritto all’Ordine giornalisti di Bologna da più di 50 anni, prima come pubblicista, poi come professionista, ha seguito la rinascita della Gazzetta di Reggio nel 1981, spinto dall’amico Rino Bulbarelli, organizzando i contatti con le istituzioni reggiane. Per 20 anni, dal primo numero della nuova Gazzetta di Reggio, ha svolto compiti di redattore sportivo e non solo. Successivamente è stato redattore di Ultime Notizie, del Giornale di Reggio, dell’Informazione e negli ultimi tempi di Prima Pagina, direttore di Stampa Reggiana e del quotidiano La Voce di Reggio Emilia.
Sempre alla ricerca della notizia, era soddisfatto quando riusciva a dare il “buco” ai giornali della concorrenza.
Ha collaborato per dieci anni con Telereggio e per tre anni con TeleMontecarlo per la trasmissione Goleada, condotta da Massimo Caputi. Per otto anni è stato consulente della Lega Dilettanti serie D con il presidente Punghellini.
Ma è nel mondo dei giornalisti sportivi che ha avuto un ruolo di primo piano: nell’Ussi è stato cinque anni consigliere, per dieci anni segretario generale, ed altri dieci anni, vice presidente vicario. Successivamente, lasciata l’Ussi nazionale, è stato sei anni presidente del Gergs Emilia Romagna.
Ruolo importante lo ha svolto anche nell’Uiga, il sindacato dei giornalisti dell’Automobile, anche qui prima come segretario generale con i presidenti Tortorella, Montanari, Refini e Bonora, poi per quattro anni vice presidente vicario.
Per quanto riguarda l’Ussi e l’Uiga è stato costretto a lasciare perché dimessosi dalla Fnsi, dopo una diatriba con il consiglio dell’Aser.
E’ rimasto socio dell’Agit (i giornalisti tennisti) che ha contribuito a far crescere insieme al presidente Filippo Grassia, anche se da anni non prendeva in mano una racchetta.
Oltre all’attività giornalistica la sua forza era nelle organizzazioni: memorabili quelle al Marabù insieme a Sandro Gasparini, nel 1977 quando oltre 4 mila persone celebrarono Bulgarelli, Mazzola, Rivera e Mondino Fabbri, ma anche negli anni successivi con il premio “Fedeltà e Successo nello sport” ottenne sempre grande audience.
Appassionato di motori, ha dapprima collaborato con Ermanno Mioli al Rally della stampa, poi insieme ad alcuni amici romagnoli, ma con il sostegno della moglie Raffaella, ha organizzato oltre trenta edizioni di una manifestazione che i giornalisti ricordano ancora e rimpiangono.
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