REGGIO EMILIA – Una cellula ‘ndranghetista che combinava metodi di azione tradizionale, come l’uso della violenza e delle intimidazioni, a strumenti moderni come il meccanismo delle false fatturazioni per consolidare il proprio potere. E’ quella sgominata dall’operazione “Ten” (“dieci” in inglese, ovvero gli anni passati da Aemilia) coordinata dal sostituto procuratore della Dda di Bologna, Beatrice Ronchi, e condotta dalla squadra mobile della questura reggiana insieme alla guardia di finanza.
Il gruppo criminale era guidato da Giuseppe Arabia, detto “Pino u’ nigro”, 59 anni. E’ lui una delle sei persone finite in carcere: nato e residente a Cutro, era però di stanza nel nostro territorio. Gli altri cinque soggetti arrestati sono il suo omonimo Giuseppe Arabia, classe 1989, residente in città; Nicola Arabia, 40 anni residente a Bibbiano; Salvatore Messina, 45 anni residente in città; Giuseppe Ranieri Migale, 47 anni residente a Cutro come Salvatore Spagnolo, 34 anni. Nei loro confronti è contestato il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso.
Le indagini sono scattate nel 2018 e hanno permesso di ricostruire estorsioni, truffe, frodi fiscali, ricettazioni, detenzione e traffico di armi. Intercettato dagli inquirenti, Giuseppe Arabia si vantava del suo potere raccontando a un interlocutore di avere costretto la vittima di una estorsione a baciargli i piedi. Violenza, ma non solo, anche frodi fiscali per un giro d’affari pari a quasi 2 milioni di euro.
Giuseppe Arabia, già in carcere dal 2005 al 2014, è il genero di un imprenditore di cui le cronache hanno riferito a lungo negli ultimi giorni, ossia Giambattista Di Tinco, titolare della DG Service di Calerno, finito in carcere la scorsa settimana con le accuse di estorsione, minaccia e usura continuata e aggravata nell’ambito dell’inchiesta Ottovolante.
Leggi e guarda anche
Reggio Emilia 'ndrangheta guardia di finanza associazione a delinquere squadra mobileL’operazione contro il gruppo Arabia svela i nuovi equilibri della ‘ndrangheta reggiana. VIDEO