REGGIO EMILIA – Arrivò a Reggio in settembre. Era il 2009. Palermo e la sua storia nel sangue, e nel curriculum una profonda conoscenza degli strumenti antimafia. Ci mise molto poco a capire la situazione. “In termini di prevenzione nella lotta alle infiltrazioni si era all’anno zero”, ricorda Antonella De Miro.
Antonella De Miro verrà per sempre ricordata come la donna della svolta nella lotta alla ‘ndrangheta a Reggio. Informò e prese per mano le istituzioni, che, dice, furono al suo fianco: con loro stipulò 36 protocolli che permisero un uso significativo delle interdittive, all’epoca strumento ancora da perfezionare. “La normativa non permetteva di usarle sotto una certa soglia”.
E le interdittive divennero la sua cifra: emise 61 provvedimenti in cinque anni, 13 delle ditte colpite non erano calabresi. Un affronto, per quegli imprenditori. “La reazione mi colpì, pensavano di poter fare quello che volevano senza essere considerai ‘ndranghetisti ma solo imprenditori”.
Pensava di stroncare sul nascere un principio di infiltrazione, non sapeva che avrebbe scombinato intrecci e radicamenti risalenti nel tempo. “Oggi la mafia eroga servizi: false fatture, intermediazione per manodopera a basso costo, recupero crediti… e viene anche cercata. A posteriori mi rendo conto di aver avuto coraggio“.
Un’attività, la sua, che ha portato elementi molto importanti ai magistrati che proprio in quel periodo iniziavano l’inchiesta Aemilia, deflagrata poi 10 anni fa con gli arresti, e che gli stessi ‘ndranghetisti progettavano di fermare nella cena agli Antichi Sapori. “Ritengo che sia, dopo il maxi processo di Palermo, il processo antimafia più importante. Sono stati davvero bravi i magistrati, va a loro il mio apprezzamento. Sento ancora i pm Mescolini e Ronchi. E’ stata scritta una bella pagina di storia, non solo giudiziaria”.
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