REGGIO EMILIA – E’ stato il procuratore capo Calogero Paci, che nella prima parte dell’udienza ha affiancato la pm Laura Galli, a introdurre il tema “tempo”, un concetto che è tornato spesso nel corso della giornata. “Tra gli uno e i sei minuti”, ha ipotizzato Cristina Cattaneo. La nota anatomopatologa ha illustrato in aula, assieme al collega Biagio Leone, la prima parte della perizia sul corpo di Saman Abbas.
La ragazza sarebbe stata strozzata. Soffocata, quindi, a mani nude, con una grande forza impressale sul collo. L’osso ioide presentava una rottura. Al contempo, non sono emersi segni evidenti dell’uso di lacci o corde. Saman era vestita, ma non sono state trovate nè le scarpe nè le calze. L’analisi del terreno, parliamo di cinque metri cubi di terra, è ancora in corso, e lì, oppure dalle unghie della 18enne, potrebbe emergere materiale genetico utile a capire chi fosse in quel casolare al momento del delitto. Per ora, su questo, l’autopsia non ha dato risposte.
Dicevamo del concetto di tempo. I minuti sono fondamentali nell’intreccio di orari di chiamate fatte e ricevute la sera del 30 aprile 2021 dagli imputati e anche rispetto agli orari registrati dalle telecamere. Quattro quelle dell’azienda agricola: “sbagliati”, ribadisce l’avvocato Liborio Cataliotti, avvocato dello zio di Saman, Danish Hasnain, che porta ad esempio le vicende del giorno della partenza dei genitori di Saman; una quella del vicino di casa.
“Torna, faremo come vuoi tu”: così, è stato riportato in aula, disse la madre a Saman il 19 dicembre 2020, quando la ragazza era diventata maggiorenne da un giorno e poteva decidere di uscire dalla comunità. Il racconto di come è stata uccisa non ha lasciato nessuno indifferente. Dal Pakistan è arrivata una comunicazione pochi minuti prima dell’inizio dell’udienza. “Per le situazioni di sicurezza attuali nel Paese e le rivolte in corso in carcere a Islamabad, Shabbar Abbas non è in collegamento”, ha riportato la presidente della corte.
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