CADELBOSCO SOPRA (Reggio Emilia) – “Un omicidio volontario, premeditato, e commesso con un’estrema efferatezza, puntando una pistola contro Salvatore Silipo, invitandolo a inginocchiarsi – gesto che rievoca violente prassi medievali – ed infine sparandogli al collo mentre stava eseguendo l’ordine che gli era stato impartito”. I giudici della corte d’Assise di Reggio descrivono così, nelle motivazioni della sentenza di primo grado, l’omicidio avvenuto il 23 ottobre 2021 all’interno della Dante Gomme di Cadelbosco. Condannato a 26 anni il titolare dell’officina, il 73enne Dante Sestito. Anche il movente è chiaro secondo la Corte. “L’imputato aveva maturato – si legge nelle carte – l’ossessiva convinzione che Salvatore Silipo avesse delle responsabilità rispetto al furto dei pneumatici consumatosi le notte del 9 settembre 2021. E dai sospetti è passato velocemente alle vie di fatto, dapprima creando un clima lavorativo insostenibile (Salvatore Silipo infatti era un suo dipendente nell’officina), poi iniziando a veicolare delle minacce vere e proprie – di concerto con suo figlio Antonio Sestito – nei confronti della vittima, che sono poi sfociate nel proposito omicidiario”.
A giudizio della Corte d’Assise sussiste l’aggravante della crudeltà ma non quella dei motivi abietti e futili. Ciò che ha determinato l’imputato ad agire è stato infatti il furto di qualcosa di molto importate per Dante Sestito, probabilmente un cospicua somma di denaro, che era nascosta all’interno dei pneumatici rubati. “Il santo deve tornare indietro”, aveva detto Dante Sestito con una allusione al fratello della vittima, Francesco Silipo, che si era offerto di ripagare i pneumatici. Nell’istruttoria però non è mai emerso con certezza quale fosse l’effettivo oggetto dell’indebita sottrazione. La tesi – sostenuta dall’imputato e dal figlio Antonio – secondo cui il colpo sarebbe partito involontariamente, è stata ritenuta inverosimile, anche perché Dante Sestito, poco dopo aver sparato, aveva puntato la stessa arma anche contro Pierfrancesco Mendicino, che era vicino alla vittima e che aveva partecipato all’incontro che doveva essere chiarificatore.
La corte ha ritenuto le dichiarazioni di Antonio Sestito poco affidabili per una pluralità di ragioni. Prima tra tutte il ruolo significativo che l’uomo ha assunto in tutta la fase prodromica dell’omicidio. Ed era stato proprio lui ha organizzare l’incontro. Poi le conversazioni intercettate con la moglie poco prima del delitto, da cui si capisce la preoccupazione della donna rispetto alle “sconsiderate e imminenti iniziative del marito”. L‘avvocato di parte civile Mattia Fontanesi ha chiesto una revisione della posizione di Antonio Sestito, che in primo grado non era imputato.
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