REGGIO EMILIA – Settimane lavorative di 7 giorni, più di 200 ore di lavoro al mese: è la trafila di molti facchini che sperano di migliorare la propria condizione passando dal lavoro interinale all’assunzione diretta. Uno di loro ha accettato di raccontarci la sua storia. E’ la quarta puntata del nostro approfondimento sul settore della logistica.
“E’ un lavoro pesante, che non puoi fare per tanti anni o fino alla pensione. Devi cercare altro e, se ne hai la possibilità, devi cambiare. Se vedi le persone alla fine del turno, camminano male, hanno mal di schiena”. Questo lavoro che non puoi fare troppo a lungo, Abdellatif Naini lo fa dal 2014. Da quando iniziò come facchino presso la classica falsa cooperativa del settore, spedito lì da un’agenzia di lavoro interinale. Orari massacranti, turni anche di 7 giorni su 7. Ma lui, arrivato dal Marocco, non poteva dire di no. “Devo lavorare, ho una famiglia, qualunque siano le condizioni, devi accettare, anche 200-220 ore di lavoro al mese. E devi accettare lo stesso per tenere il tuo posto di lavoro”.
E’ il prezzo da pagare per sperare di essere assunto, di passare da interinale a dipendente diretto della società di facchinaggio. Qui Abdellatif si è trovato insieme a tanti altri nella stessa condizione. “Abbiamo tante comunità: russi, moldavi, camerunensi, senegalesi, marocchini, indiani, pakistani, anche italiani, ma pochissimi”. L’unità tra i lavoratori e le lotte sindacali hanno permesso ad Abdellatif e ai suoi colleghi di strappare qualche miglioramento: infortunio, malattia, inquadramenti e buoni pasto. Oggi Abdellatif ha 51 anni, cittadinanza italiana, è sposato e ha una figlia. Ma nel suo bilancio personale c’è comunque una vena di amarezza: “Non sono riuscito a migliorare la mia vita, perché non riesci ad andare a scuola e a migliorare. Questo è un problema per uno straniero”.
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