NOVELLARA (Reggio Emilia) – “Se tornassi in Pakistan, gli uomini di Shabbar mi ammazzerebbero come lui ha fatto con sua figlia”. Con queste parole dette agli inquirenti poco prima del ritrovamento del corpo di Saman Abbas lo zio della ragazza, Danish Hasnain, accusa il fratello del delitto.
“Stavo piangendo, non riuscivo a guardare, mi chiedevano di scavare ma io non riuscivo per il dispiacere”. Così l’uomo ha dipinto il proprio stato d’animo la sera del 30 aprile 2021, mentre si trovava all’interno del casolare di viazza Reatino a Novellara. Racconta agli inquirenti che i cugini di Saman, Ikram e Nomanulhaq, provano a consolarlo, ma che lui si allontana. Si offre di accompagnare il procuratore capo Calogero Paci e il sostituto procuratore Laura Galli e i carabinieri al casolare, e così avverrà il 17 novembre. I due cugini, riferisce sempre Danish, attorno a mezzanotte portano il corpo senza vita della ragazza nella casa diroccata. Perché lo zio della 18enne avrebbe deciso di raccontare? “Perché voglio che il corpo di Saman venga ritrovato, per darle un luogo dove un giorno posso andarci per pregare, perché io le volevo molto bene”.
Dice così, Danish, che dal 10 febbraio sarà alla sbarra per sequestro e omicidio. E non dice solo questo: dice anche che “da questo momento ho messo a rischio la mia vita, non potrò mai più tornare in Pakistan perché gli uomini di Shabbar mi ammazzerebbero come lui ha fatto con sua figlia”. Parole che più nette non si può: lo zio di Saman, oltre a dire che non è stato lui a eseguire il delitto, indica nel fratello il responsabile, e fa capire come esisterebbe una rete di complicità attorno al 46enne che si trova ancora a Islamabad e che il 7 febbraio comparirà per la decima volta davanti alla corte chiamata a dare un parere sulla sua estradizione. Lo zio della ragazza, rappresentato dall’avvocato Liborio Cataliotti, ha anche chiesto protezione per la moglie e un aiuto per portarla in Italia.
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