REGGIO EMILIA – I vent’anni di Eletta Bertani hanno come sfondo i “magnifici” anni 60, quelli del boom economico, che preparavano grandi rivolgimenti sociali. Quali erano le tue passioni e le tue speranze? Avevano qualcosa a che fare con la tua esperienza nella FGCI?
“Una grande fortuna avere vissuto quegli anni straordinari, in cui ‘tutto comincia a cambiare’ come cantava Bob Dylan. Cambiano l’economia e il mondo del lavoro, nella produzione e nella vita sociale entrano i giovani e le donne. Con l’avvio della società dei consumi e una modernizzazione accelerata cambiano i costumi e le abitudini di vita, i rapporti tra le generazioni e i generi. Io ho vissuto quegli anni con le aspirazioni e le speranze che stavano maturando in gran parte delle ragazze di allora : una fortissima voglia di autonomia e di libertà in ogni aspetto della vita, la messa in discussione del ruolo e della collocazione tradizionale delle donne nella società, e cioè eterne minorenni dipendenti dal padre e dal marito, il matrimonio spesso inteso come sistemazione, la famiglia e i figli come unica aspirazione . Forse ancora in modo confuso e contradditorio, ma sin dall’adolescenza sentivo in me la spinta ad essere libera di scegliere cosa volevo essere e cosa volevo fare della mia vita, come donna e come persona. Dopo la chiusura delle “Reggiane” dove lavoravano i miei genitori e il tentativo di una nuova travagliata attività, ho vissuto la povertà, vedevo la loro fatica e i loro sacrifici per darmi una vita migliore e per farmi studiare . Soffrivo per questo ed è cresciuta presto in me l’ansia di riscatto e di liberazione dall’ingiustizia delle diseguaglianze sociali . Ho cominciato sin da piccola a pormi delle domande, degli interrogativi che andavano oltre il mio piccolo mondo privato, lo spazio angusto del quartiere di San Pietro, dove abitavo. Le risposte le ho trovate nei grandi ideali e nei progetti di cambiamento radicale della società che si respiravano allora nei quartieri popolari e nell’incontro con la FGCI (Federazione Giovanile Comunista Italiana), che ho cominciato a conoscere e a frequentare molto presto, già dagli anni delle scuole superiori. Hanno contato però, in un intreccio forte, anche la mia famiglia ed i racconti della guerra e della Resistenza che ascoltavo da loro, la formazione ricevuta al Liceo Classico Ariosto da ottimi insegnanti che mi hanno appassionata alla bellezza della conoscenza, del sapere, dell’arte: una formazione rigorosa, qualificata ed esigente, ma rispettosa anche delle diverse personalità, orientamenti ideali e inclinazioni di noi ragazzi. Hanno contato le letture. La musica, i film di quell’epoca, che raccontavano la realtà di allora e le sue contraddizioni, la grande energia vitale e creativa che si respirava a quel tempo in ogni campo. Decisivo, certamente, è stato l’incontro precoce con la politica e con la FGCI ( Federazione giovanile comunista italiana), allora molto forte e organizzata. Mi ha subito affascinato e coinvolto quel gruppo di giovani, la loro passione, i grandi ideali, le interminabili discussioni, il loro impegno e determinazione a cambiare le cose. Erano, eravamo convinti di potere contare e di potere cambiare le cose, insieme e con la nostra volontà e avevamo la fiducia ,anzi la certezza che si poteva costruire un mondo migliore. Questo è il messaggio positivo che , credo, la mia generazione ha lasciato, un messaggio valido ancora adesso, al di là delle troppe certezze ideologiche, delle utopie, delle illusioni, e anche degli errori. Ricordo, en passant, che su quella che allora si definiva la “ questione femminile”, Nilde Iotti, in quegli anni Responsabile nazionale della Commissione femminile del PCI, apri giustamente una forte polemica con la FGCI del tempo, che sottovalutava la specificità e il valore profondamente innovatore e riformatore della emancipazione femminile, rimandando alle riforme generali e alla futura conquista della società socialista la piena parità e la liberazione delle donne. Certo ,c’erano, tra noi giovani, anche molta ideologia e troppe certezze , illusioni e presunzione. Decisivo è stato poi, per me , il 7 luglio 1960. Avevo appena concluso l’esame di maturità. Ho partecipato al corteo antifascista contro il governo Tambroni sostenuto dai fascisti del MSI e ho vissuto in diretta quel pomeriggio terribile : i 5 giovani uccisi, i feriti, il prezzo di sangue e dolore pagato dalla nostra e altre città per difendere la democrazia e la libertà conquistate. Quella tragica esperienza mi ha determinato a fare dell’impegno politico una “scelta di vita”: a 19 anni ho accettato la proposta di lavorare per la FGCI come funzionaria e questa scelta ha cambiato la mia vita”.
La tua militanza nel Partito Comunista Italiano è stata contraddistinta dal tuo essere impegnata su quella che all’epoca si definiva “questione femminile”?
“Già nella FGCI, in una breve esperienza alla FGCI nazionale, poi negli anni successivi alla Federazione comunista, ero responsabile femminile del lavoro verso le donne, prima al Comitato cittadino, poi a livello provinciale. Non era solo un lavoro di conquista alla politica generale del partito, ma appunto ,di conoscenza della condizione e dei problemi delle donne e di approfondimento e individuazione degli obiettivi specifici che riguardavano la loro collocazione nella società e di sollecitazione alla loro partecipazione attiva alla vita politica, nell’ottica dei diritti e della emancipazione femminile. Obiettivo, questo, fondamentale della nostra attività, da quando Nilde Iotti era diventata Responsabile nazionale, dopo una difficile battaglia politica condotta contro resistenze e incomprensioni presenti nel partito, non esente, anch’esso, da mentalità arretrate e da un maschilismo diffuso, malgrado le affermazioni avanzate di Togliatti nel suo discorso alle donne dopo la Liberazione : le donne hanno bisogno della democrazia, la democrazia ha bisogno delle donne. Nel mio lavoro ho cercato sin da subito il rapporto con le lavoratrici, quelle che lavoravano nelle fabbriche dell’abbigliamento, nel lavoro a domicilio, allora molto diffuso , ho organizzato incontri con le ragazze e le donne della montagna, per ascoltarle e conoscerne i problemi . Ho cercato di far crescere in tutte la coscienza del peso oppressivo del doppio lavoro, dei propri diritti come donne , come lavoratrici , come madri, come cittadine e delle tante discriminazioni da superare in casa e fuori casa. Mi premeva che le donne imparassero a prendere la parola in pubblico, a raccontarsi e a fare emergere i loro problemi più importanti, ho sollecitato e sostenuto le loro lotte, per migliorare le condizioni di lavoro e il diritto alla rappresentanza del sindacato ,che spesso non esisteva nelle fabbriche femminili. Ho conosciuto le prime sindacaliste, donne forti e coraggiose, una classe operaia femminile d’avanguardia per combattività e coscienza di sé, una storia che andrebbe meglio conosciuta e valorizzata . Ai temi del lavoro si sono affiancate poi le prime battaglie per le scuole materne e gli asili nido comunali intesi non solo come servizi sociali, ma come istituzioni educative, caratterizzate da un protagonismo femminile e popolare dal basso, matrice fondamentale della nascita delle prime esperienze di welfare nella nostra provincia . Un ruolo di stimolo e lungimirante lo hanno esercitato anche le prime amministratrici , come Lidia Greci e Loretta Giaroni nel Comune di Reggio e altre nella provincia . A questi temi si sono aggiunte successivamente, specie negli anni settanta, battaglie nazionali fondamentali come quella per il nuovo diritto di famiglia , per difendere la legge sul divorzio nel referendum del 1974, per la conquista della legge sull’aborto, per la prima legge di parità uomo e donna nel lavoro , la cosiddetta Legge Anselmi. Ho avuto la fortuna di avere come riferimento ed esempio leaders coraggiose e determinate, il cui apporto è stato decisivo per ottenere e a volte anticipare e sollecitare le prime leggi nazionali innovative: Ione Bartoli, prima assessore regionale al Welfare, l’on Carmen Zanti , protagonista tra l’altro, della legge sui consultori familiari. Ho poi potuto apprezzare, oltre a Nilde Iotti ,nei suoi ruoli di dirigente, deputata e prima donna Presidente della Camera, anche Marisa Rodano, Giglia Tedesco, parlamentari del PCI, Tina Anselmi, Maria Eletta Martini, della DC, Maria Magnani Noya per il PSI, tutte protagoniste del lavoro trasversale che è stato fondamentale per la conquista, certo non facile, di tante leggi innovative”.
In una tua intervista di qualche tempo fa sottolinei come il Congresso dell’Udi del 1964, che sancì con chiarezza l’autonomia del movimento femminile dal Partito, fu per te una vera conquista culturale e di consapevolezza. Cosa intendevi?
“Il Congresso nazionale dell’Udi del 1964 ha rappresentato per me un passaggio decisivo di consapevolezza e maturazione politica e personale, per la svolta impressa alla elaborazione politica sulla “questione femminile”. Dopo la Liberazione, l’Unione Donne Italiane, che era nata nel 1944 dai Gruppi di Difesa della donna attivi nella Resistenza, e con una sua importante piattaforma di obiettivi di emancipazione, in un paese distrutto completamente da ricostruire e nel contesto internazionale caratterizzato dall’avvio della guerra fredda e dalla discriminazione anticomunista, aveva concentrato il suo impegno in un lavoro certo importante di aiuto e solidarietà alle donne e alle famiglie più povere e colpite dalla guerra, con attenzione particolare alla protezione dei bambini. Basta pensare alla bellissima esperienza dell’accoglienza da parte di tante famiglie di Reggio e del Nord di tanti bambini di Napoli e del Meridione durata per alcuni anni dopo la Liberazione, oppure alle tante iniziative e raccolte di firme a sostegno della pace e della coesistenza pacifica tra Est ed Ovest e contro il riarmo atomico. Iniziative certo importanti, che però hanno anche favorito un ruolo dell’UDI in qualche modo “collaterale” alla politica della sinistra e del PCI in particolare, una sua subalternità rispetto ad essa, offuscando l’obiettivo centrale della associazione: i diritti e l’emancipazione femminile. Nelle “tesi” del Congresso del 1964, a partire da molte esperienze concrete che l’UDI era andata facendo sulla specifica condizione femminile del tempo, si faceva una analisi aggiornata della collocazione delle donne nella società italiana e si recuperavano e si ponevano al centro gli obiettivi specifici di emancipazione e si affermava la autonomia dell’UDI rispetto ai partiti e alle altre organizzazioni, e la sua funzione essenziale: emancipare e liberare le donne. Questa visione, che si potrebbe definire in qualche modo di “genere”, comportava conseguenze molto concrete, come, per esempio, la progressiva presa di distanza dell’UDI rispetto alla FDIF, la Federazione Internazionale delle donne, con la scelta di non approvare al suo Congresso il documento finale, giudicato dall’UDI troppo dipendente dalla politica internazionale dell’URSS e con l’uscita dagli organi operativi. E’ stata, quella sulla FDIF, una battaglia politica aspra e difficile , nella quale un ruolo importante ha giocato anche la reggiana Carmen Zanti, allora Segretaria generale dell’associazione internazionale, ruolo poi consapevolmente abbandonato col suo ritorno in Italia. Al centro del dibattito del Congresso del 1964 furono i temi specifici del lavoro delle donne, del servizi sociali, del nuovo diritto di famiglia, del divorzio e dell’aborto , e la decisione di aprire una consultazione di massa delle associate su tutti questi temi. Io mi sono riconosciuta pienamente in quella lettura della vita delle donne e in quella visione del ruolo dell’UDI e mi sono impegnata per fare passare quella linea tra le donne del PCI e nel mio partito in generale. La cosa non era per nulla scontata , ci fu discussione, ma quella posizione fu vincente anche a Reggio, grazie anche alla coraggiosa posizione di Nilde Iotti, che sostenne l’ autonomia dell’UDI e l’ emancipazione femminile come componente essenziale del cambiamento della società. La mia maturazione politica e umana si è consolidata successivamente vivendo l’esperienza della maternità e lavorando all’UDI dal 1968 al 1970, quando Il movimento di lotta per i servizi sociali era in piena espansione e vedeva protagoniste le donne , che , grazie anche al ruolo dell’associazione, entravano sulla scena politica come soggetto politico autonomo , con propri obiettivi e proprie forme di organizzazione e mobilitazione”.

Aprile 1972. PCI campagne elettorali: Nilde Iotti, Carmen Zanti, Eletta Bertani
Hai fatto in tempi in cui le donne erano poco presenti nelle istituzione una serie di importanti esperienze partendo dalla Segreteria della FGCI, passando per l’UDI per poi svolgere il ruolo di Consigliera Comunale, essere eletta alla Camera nel 76 e successivamente dall’85 al 1990 divenire amministratrice comunale. Un cursus honorum significativo che fa pensare a un’altra idea di formazione alla politica. Cosa ne pensi dell’elogio dell’improvvisazione che contraddistingue troppo spesso oggi le carriere politiche?
“Mi rendo conto ancora più lucidamente oggi, a distanza, di avere vissuto esperienze davvero eccezionali, per la eccezionalità dei tempi , dei contesti storici, dei protagonisti. Ho vissuto spesso in diretta, in decenni di impegno politico le diverse fasi attraverso le quali il paese è cresciuto è cambiato, è diventato quello che è ora, nel bene e nel male. Tante, importanti le conquiste, ma anche le battute di arresto, i momenti di involuzione , le sconfitte, gli errori, in questo travagliato percorso della nostra democrazia. Mi preme dire che non ho vissuto le diverse esperienze ed i ruoli importanti che ho ricoperto come obiettivi di carriera personale, con supponenza e sopravvalutazione dei miei personali meriti o capacità, ma con consapevolezza dei miei limiti e cercando di dare il meglio di me stessa, di migliorare, di crescere. Ho sempre ritenuto fondamentale coinvolgere le donne e i cittadini per arrivare a scelte condivise e con la consapevolezza di dovere rispondere a chi aveva avuto fiducia in me. Non sono quasi mai stata totalmente soddisfatta del lavoro fatto e dei risultati ottenuti, convinta che non hai mai finito di imparare, di studiare, di conoscere. Certo allora, nella formazione di un dirigente e nella selezione per i ruoli di responsabilità , contava l’esistenza di forti partiti di massa, dove la la partecipazione democratica e il confronto sempre forte e vivo mettevano alla prova e facevano emergere chi si impegnava non solo a parole, ma nei fatti . Io sono stata sostenuta dalla fiducia e dal sostegno delle donne e da alcune leader in particolare, anche a scapito delle loro personali aspirazioni. So di avere vissuto esperienze “privilegiate”,ma so anche di non averle cercate e le ho vissute sempre con il rovello del dubbio sulle mie personali capacità e qualità e con la preoccupazione di non essere all’altezza. Certo ai miei tempi era il contesto sociale e la presenza di grandi partiti che favoriva e aiutava l’ emergere delle qualità migliori delle persone, forniva strumenti e materiali di studio, approfondimento e formazione e non lasciava spazio ai protagonismi individuali non sorretti da sostanza vera. La mia generazione è stata poi favorita da dirigenti che erano usciti da una dura battaglia per il rinnovamento e che hanno dato spazio a forze giovani, offrendo loro l’opportunità per mettersi alla prova, anche se noi donne abbiamo poi dovuto faticare e batterci per fare emergere e fare passare i nostri temi, il nostro modo di intendere e vivere la politica, per il diffuso maschilismo, le arretratezze, le resistenze”.
“Quanto all’oggi e alle carriere improvvisate: penso che pesi la mancanza di un contesto di partiti forti e la crisi della partecipazione, l’indebolimento di un tessuto connettivo di ideali e valori per cui valga la pena impegnarsi. Una diffusa cultura individualista e narcisista e l’indebolirsi delle reti connettive rappresentate da partiti e associazioni forti, ha lasciato spazio ai “ partiti personali” ,alle carriere improvvisate, all’uso deI partiti e dei ruoli istituzionali per scopi di gruppo e di potere e successo personale. I nuovi mezzi di comunicazione, i social hanno poi accentuato la semplificazione e banalizzazione dei messaggi politici, la politica si è ridotta a pura propaganda, a slogan , con una semplificazione estrema dei linguaggi e dei messaggi, che ignora la complessità della realtà ,obbliga a schierarsi e rende difficile un vero ascolto e confronto. Anche tra le donne impegnate nella politica e nelle istituzioni, a parte lodevoli esperienze, si sono indeboliti o del tutto scomparsi i vincoli di solidarietà, la volontà di fare squadra per ottenere obiettivi comuni. Il risultato è una riduzione della qualità delle classi dirigenti e la disaffezione dei cittadini. Non voglio fare di ogni erba un fascio, tante sono le persone di valore ed impegnate seriamente per una buona politica e per istituzioni davvero al servizio dei cittadini. Ma non basta, io credo, la buona volontà individuale”.
Sei stata la prima presidente di Reggio Children. La fondazione di Reggio Children e del Centro Internazionale ha contribuito a valorizzare l’esperienza educativa e culturale delle scuole dell’infanzia. Quanto sono state determinanti le donne nella nascita e nella gestione di questi 2 soggetti?
“In tutta la storia della esperienza delle scuole dell’infanzia e dei nidi le donne hanno svolto un ruolo, certo non esclusivo, ma determinante. Ho avuto la fortuna di vivere i diversi passaggi cruciali e mi sento di riaffermare questo concetto, peraltro confermato da documenti, testimonianze, ricerche forse non sufficientemente conosciute. Il ruolo determinante delle donne vale anche per quanto riguarda la nascita di Reggio Children e della Fondazione internazionale. Il dottor Loris Malaguzzi aveva da tempo in mente di dare vita ad un Associazione o Fondazione o ad un Centro culturale per valorizzare e promuovere questa straordinaria esperienza educativa e i tanti rapporti internazionali, ma purtroppo è improvvisamente mancato, il 30 gennaio del 1994, proprio poco prima che il suo progetto prendesse vita . Se il sogno di Loris si è realizzato, se il suo progetto è stato sollecitato e sostenuto, in città e nel confronto tra le forze politiche anche in Consiglio comunale e se Reggio Children è poi nata e via via si è consolidata e cresciuta nel tempo sino alla nascita del Centro Internazionale, si deve alla passione, alla tenacia e alla determinazione di tante donne, che, assieme ad altri cittadini ed esponenti della vita e della cultura cittadina, sempre convinte del valore culturale e civile della esperienza educativa delle nostre scuole d’infanzia, hanno raccolto il testimone, anche se non potevamo più contare sulla genialità, il carisma e la popolarità del suo ideatore. Ricordo la Mozione in Consiglio Comunale per sostenere il progetto di quella che sarebbe diventata la srl Reggio Children, ricordo l’impegno della Sindaca di allora Antonella Spaggiari e dell’Assessore Sandra Piccinini che lo hanno impostato e seguito sin dal suo inizio e nei passaggi successivi . Fu Sandra Piccinini a chiedermi di collaborare assumendo la Presidenza della SRL e non ho potuto sottrarmi seppure con forte preoccupazione per le responsabilità che mi stavo assumendo. Altre presidenti sono venute dopo, Giordana Rabitti, poi Carla Rinaldi e con loro Reggio Children si è consolidata, ha allargato le aree di intervento all’estero e in Italia. Ricordo con affetto il primo nucleo operativo di Reggio Children, la nostra Consulente scientifica Carla Rinaldi, prima collaboratrice di Malaguzzi, poi divenuta Presidente del Centro Internazionale e della Fondazione. Essenziale è stata la collaborazione sin dall’inizio delle pedagogiste, delle insegnanti delle scuole, dei genitori e dei volontari , che hanno aperto le porte delle scuole e dei nidi con grande spirito di accoglienza ai gruppi di studio, ai visitatori e agli studiosi provenienti da ogni parte del mondo e che hanno saputo, dal vivo, fare comprendere i valori e lo spirito comunitario alla base della nostra esperienza. A portare avanti il progetto originario di Loris Malaguzzi sono state dunque tante donne, con passione e intelligenza e il loro ruolo va riconosciuto. Certo va nel contempo ribadito che questa “eccellenza” della nostra città si basa sulla sinergia e la interazione di alcuni fondamentali soggetti : come appena ricordato, le donne e le loro lotte per aprire le scuole , allargare la rete, difendere e sostenere nel tempo l’esperienza; l’amministrazione comunale, coerente nella scelta politica di sostenere ed investire sull’ educazione di qualità. Non è stato semplice e scontato, perché in certi periodi sono state forti le pressioni per statalizzare le scuole e per privatizzarle. Infine, soggetto fondamentale e valore aggiunto: il ruolo decisivo del pensiero, delle idee e delle pratiche educative di un educatore ed intellettuale quale è stato il Professor Loris Malaguzzi, il cui prestigio internazionale e carisma personale è stato un vero e proprio valore aggiunto. Per la forza e la qualità di questa “ eccellenza” e la sua durata ed evoluzione nel tempo, è stato essenziale che tutti protagonisti sapessero giocare un loro ruolo in sinergia, interazione e cooperazione tra loro e tanto più questa sinergia e la consapevolezza dell’intera comunità reggiana sono essenziali, ora che, dopo la pandemia. occorre rivitalizzare anche nelle scuole il senso di comunità, la partecipazione democratica e lo spirito innovativo che da sempre hanno caratterizzato la nostra città e le sue scuole”.
Hai raccontato te stessa, come parte di una storia corale nel tuo libro “Cercando la rotta”. Vi si legge:”Ho fatto parte di un percorso collettivo di riscatto sociale, di crescita personale e di emancipazione. Ci sentivamo un Noi, e la politica, in particolare quella delle donne, era fatta insieme, dandoci reciprocamente forza…”. La crisi globale pandemica ha evidenziato la necessità di abbandonare l’individualismo e la sola autoaffermazione, sia nelle esperienza dei singoli che in quella degli Stati. C’è dunque l’urgenza di cercare la rotta per una vera radicale ricostruzione del nostro modo di vivere e di essere comunità?
“Questa citazione riassume perfettamente il mio percorso politico ed umano ed i valori che hanno caratterizzato le esperienze che ho vissuto, La pandemia ha riproposto , come giustamente dici, l’urgenza di riprendere il filo del percorso storico dell’esperienza delle donne , caratterizzato appunto dal valore del Noi, dalla necessità di costruire insieme, il nostro pensiero, i nostri obiettivi, le nostre forme di partecipazione basandoli sulla cooperazione , la solidarietà, la valorizzazione delle differenze che caratterizzano ogni essere umano e vivente. E’ urgente e vitale per il futuro ripensare e ricostruire dalle radici il modo di vivere e di convivere oggi, recuperando il valore della cooperazione e dell’aiuto reciproco tra esseri umani, tra Stati e tra istituzioni internazionali. Penso che le donne, il loro pensiero e le loro esperienze abbiano molto da dire in questo passaggio storico cruciale e possano aiutare a trovare la giusta rotta per una ricostruzione e rigenerazione delle nostre società che eviti gli errori fatali dell’individualismo e dell’egoismo, di cui ancora oggi vediamo le tragiche conseguenze : le guerre, la violenza, le discriminazioni, l’aumento delle diseguaglianze ,la devastazione dell’ambiente, la negazione dei più elementari diritti umani. Mi auguro che le donne , i loro gruppi ed associazioni si facciano sentire in questo passaggio difficile, aiutando la politica a ritrovare il suo ruolo nobile di indirizzo e guida, ritrovando valori, qualità e dignità, ponendo al centro i diritti umani, le persone nella concretezza delle proprie fondamentali esigenze e nel rispetto delle proprie differenze: la salute, la conoscenza e l’ educazione, la possibilità di autorealizzazione, il diritto di dovere di partecipare in modo attivo alla vita della propria comunità. Purtroppo in questi ultimi decenni la cultura individualistica ha preso radici profonde nelle persone e nella loro idea di se stesse , alimentando il narcisismo, l’indifferenza e l’egoismo. Anche tra le donne si è diffusa una idea della emancipazione intesa come pura affermazione individuale delle proprie capacità e competenze, che rivendica per sé i diritti conquistati con la fatica di tante donne nel tempo e ignora il dovere e la responsabilità di difenderli e promuoverli a vantaggio di tutte e della società tutta. I risultati di questa visione distorta sono sotto i nostri occhi, aggravati dalla pandemia: le donne stanno tornando indietro, nel mondo del lavoro e nella vita sociale e civile e stanno pagando il prezzo più alto nella difficoltà a conciliare i tanti diversi compiti che ricadono su di loro. E’ urgente e vitale, per le donne, come per i giovani, contrastare sul piano culturale, politico, civile questa tendenza, rinnovare e rivitalizzare la partecipazione consapevole, la responsabilità di ciascuna e di ciascuno verso la comunità in cui si opera. Questa è la sfida e la partita è tutta aperta. Come sempre, dipende da noi”.
Per quel che ne so la tua vita è stata intensa, caratterizzata dall’impegno politico, forse appesantita dal doppio ruolo che le donne impegnate in politica o nel lavoro vivono non volendo rinunciare alla famiglia, ai figli all’investimento sulla affettività. Ti ritrovi in questa mia affermazione e come la commenteresti?
“La tua domanda coglie nel segno. Ho vissuto la politica come passione, come lavoro scelto e non imposto, come responsabilità verso me stessa e verso le altre e gli altri. Nel contempo, come tutte le donne, parte integrante e ineliminabile di di me stessa e delle mie più profonde aspirazioni non potevano non essere gli affetti, la maternità, i sentimenti, gli aspetti privati ed intimi della vita, cui ho dato sempre un fondamentale valore. Ho però vissuto la parte più importante della mia esperienza di lavoro in un periodo in cui l’impegno politico era totalizzante, assorbiva ogni più intima fibra del proprio essere e ogni istante del proprio tempo. Ho pagato di conseguenza un prezzo pesante, a scapito della vita familiare e privata, degli affetti più cari. Mi sono sentita spesso lacerata da questa contraddizione, ho vissuto brucianti sensi di colpa. A un certo punto della mia vita, ho pagato anche nella salute il peso di questa insanabile contraddizione. Oggi, libera da impegni pubblici cogenti e da pesanti responsabilità ,sto cercando di restituire alla famiglia e ai miei affetti ciò che non ho potuto dare pienamente negli anni di quello che definisci “cursus honorum” ed io definisco responsabilità e ruoli non cercati. Forse se per le donne la politica è ancora una esperienza respingente più che inclusiva è perché non possono e non vogliono vivere questa lacerazione, in un mondo della politica e delle istituzioni ancora troppo dominato dagli uomini e costruito a loro misura. L’equilibrio tra le due dimensioni è tutto ancora da costruire e chiama in causa la società come oggi è costruita, la mentalità e la cultura degli uomini. Certo, si è andati molto avanti nel distacco tra politica e vita reale, ma è sempre più forte il bisogno di una politica più vicina e consapevole dei bisogni più profondi delle persone. Spero che siano le donne a dare la spinta più forte per ottenere quei cambiamenti sociali, civili e culturali , di mentalità e di comportamenti che consentano a tutti e a tutte di vivere in modo più sereno, equilibrato e sostenibile la dimensione pubblica e privata della loro vita .Giocare questo ruolo implica ritrovare il filo che lega la storia migliore dei movimenti delle donne: il valore del NOI, la reciproca solidarietà per migliorare la vita di tutti. E’ questo approccio che legittima le leadership femminili, ne rafforza l’autorevolezza e la credibilità, dà un senso ed un valore alla scelta impegnativa del fare politica e che consente, nel confronto e nello scambio, e anche in una sana competizione, di fare emergere e di mettere a frutto le proprie migliori qualità personali, ponendole al servizio di tutte le donne e della comunità”.
Natalia Maramotti
Chi è Eletta Bertani
Eletta Bertani è nata a Reggio Emilia dove tuttora vive. Formata dalla famiglia e dall’ambiente sociale ai valori dell’antifascismo e della giustizia sociale, già dalle scuole superiori si appassiona alla politica. I tragici fatti del 7 luglio 1960 sono determinanti per le sue scelte di vita. Giovanissima inizia a lavorare alla Fgci, poi dopo un breve periodo all’Udi, alla Federazione reggiana del Pci come Responsabile della Commissione Femminile e successivamente al Dipartimento Scuola e Cultura. È stata Consigliere comunale, Deputata per due legislature (1976-1983), Assessore alla Scuola del Comune di Reggio (1985-1990), dal 1994 al 2000 prima Presidente di Reggio Children. Ha partecipato alla nascita dell’Ulivo e del Pd. Attiva nell’Anpi, continua tuttora ad essere impegnata nella vita civile e politica.