RUBIERA (Reggio Emilia) – “Io sono un tecnico di radiologia che lavora in un piccolo ospedale della provincia di Modena, a Mirandola. Come tecnico di radiologia ho partecipato a due missioni, una nel 2012 e l’altra nel 2016, missioni di circa sei mesi ciascuna”. Aridiano Prandini ha vissuto la sua esperienza all’ospedale di Emergency a Kabul, in Afganistan, nel periodo più duro della guerra che ha devastato quel Paese. Ha curato feriti e ustionati da bombe, feriti da proiettili. Ma anche dopo la fine della guerra ci sono persone, spesso bambini, coi corpi piagati da mine e ordigni esplosivi, o le vittime di incidenti stradali e di infortuni, in un paese in cui oltre il 70% della popolazione non ha accesso a cure gratuite.
“E’ difficile dare un’idea delle mostruosità che si incontrano in un ospedale che si occupa di questo tipo di pazienti. Peraltro va detto che il mio ospedale, che si occupava di vittime di guerra, dopo la dipartita degli americani si è trasformato finalmente in un ospedale che si occupa di traumatologia, quindi finalmente è diventato un ospedale ‘normale'”.
Un luogo dove le ferite della guerra sono ancora vive è Gaza, nonostante le speranze di pace delle ultime ore. Anche qui Emergency è presente con un suo ospedale. “E’ attivo da gennaio e da maggio è in funzione 24 ore al giorno, sette giorni alla settimana – spiega Tieste Davoli, volontario reggiano di Emergency – Volontario reggiano di Emergency. Stiamo curando una media di 500-600 pazienti al giorno, in condizioni che definire disperate è poco”.











