REGGIO EMILIA – La Corte di Cassazione ha messo la parola fine alla vicenda della lettera scritta da Pasquale Brescia e indirizzata al sindaco Luca Vecchi, una della pagine più buie della storia recente della nostra città.
La suprema corte ha confermato la condanna a sei mesi inflitta in appello all’avvocato Luigi Antonio Comberiati, ex legale di Brescia. Sul capo di imputazione i giudici non hanno avuto dubbi: minacce di stampo mafioso. La missiva era stata consegnata da Brescia, che era in carcere, a Comberiati che l’aveva recapitata alla redazione reggiana de Il Resto del Carlino. Fu pubblicata il 2 febbraio 2016. L’imprenditore edile calabrese invitava Vecchi a dimettersi, lo accusava di non aver difeso la comunità cutrese. Più volte si rivolgeva a lui con la frase “lei non sa quanto è fortunato”. Allusioni che per l’antimafia costituivano una vera e propria minaccia mafiosa. Il sindaco – ai tempi al suo primo mandato – e la sua famiglia erano stati messi sotto protezione.
Pasquale Brescia attualmente è in carcere: nel processo Aemilia è stato condannato in via definitiva a 13 anni per associazione mafiosa; per la vicenda della lettera è stato condannato, anche in questo caso definitivamente, a 6 mesi per minacce mafiose. Stessa accusa e stessa condanna, dunque, del suo ex avvocato.
Nella sentenza a carico di Brescia si legge che: “L’operazione attraverso la quale la missiva venne elaborata e recapitata avvenne sotto la supervisione di Gianluigi Sarcone, fratello del capocosca Nicolino, e aveva l’obiettivo di tenere sotto scacco il sindaco della città”. E ancora: “Le manovre di Comberiati si svolgevano in parallelo con contatti assiduamente tenuti con parenti e altri referenti in libertà del Brescia, il che evidenzia una condivisione di intenti strategici generali”.
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