REGGIO EMILIA – Cosa sta succedendo a Islamabad? O meglio, cosa non sta succedendo? E perché? Difficile a questo punto credere si tratti solo dei lenti tempi della giustizia, sui quali per altro l’Italia non può dare lezioni a nessuno. Ma il quarto rinvio della questione estradizione per Shabbar Abbas pone forti dubbi. Il padre di Saman Abbas, considerato dagli inquirenti il mandante dell’omicidio della 18enne e rinviato a giudizio con altri quattro famigliari, era stato arrestato un mese fa dopo un anno e mezzo di latitanza: nel giro di 30 giorni è comparso quattro volte davanti alla corte e la decisione è sempre slittata, oggi compreso.
Dopo l’assenza del giudice il 6 dicembre per congedo, questa volta a mancare in aula era l’avvocato difensore del 46enne. Il funzionario del ministero dell’Interno ha prodotto osservazioni scritte e il procuratore capo di Reggio Calogero Paci è in costante contatto con le autorità locali. Tutto rimandato al 10 gennaio e per allora mancherà un mese all’inizio del processo nel quale lo stesso Shabbar è alla sbarra.
A meno di fortissime accelerazioni, quindi, diventa remota la possibilità che l’uomo sia in un’aula di giustizia italiana per quella data. In una delle precedenti udienze a Islamabad, il padre della ragazza aveva sostenuto come la figlia fosse viva e aveva addirittura detto che era nelle mani dei servizi sociali. Affermazioni che non potrà più fare: manca l’ufficialità del Dna, ma sono di Saman i resti trovati nel casolare di viazza Reatino, a circa 700 metri di distanza da quella porta di casa e da quel viottolo che la ragazza percorse il 30 aprile 2021, l’ultima sera, per gli inquirenti, della sua vita.
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