di Luca Vecchi
Sindaco di Reggio Emilia dal 2014 al 2024,
ora Capo di Gabinetto del Presidente della Regione De Pascale
REGGIO EMILIA – Carla Rinaldi è stata una gran donna, una delle figlie più importanti della storia migliore della nostra città.
E ripensando al suo profilo biografico, nella consapevolezza di quanto sia difficile oggi raccontarne le capacità, le virtù, i risultati correndo il rischio di un punto di vista parziale e non esaustivo, c’è un tratto che credo non possa essere trascurato.
L’intreccio costante tra biografia personale ed esperienza collettiva della città, il suo essere stata figlia di quella straordinaria esperienza collettiva che fece nascere le scuole portando la cultura dell’infanzia del Reggio Approach in tanti paesi, mantenendo un legame indissolubile con la sua storia, le sue radici reggiane, ma riuscendo al tempo stesso ad elevare il proprio confronto nelle migliori Università del mondo, interagendo con imprese, intellettuali, premi Nobel, conferendo a quei confronti e a quel sistema di relazioni una autorevolezza che la rendeva la più autorevole ambasciatrice del Reggio Approach e della città nel mondo.
Carla non è stata solo una straordinaria pedagogista, cresciuta alla scuola di Malaguzzi cogliendone poi con credibilità e autonomia la necessaria eredità, aveva una spiccata capacità di portare a sintesi la competenza pedagogica, la visione politica, e l’originalità dell’esperienza reggiana, tracciando i contorni fondamentali di una visione umanistica del mondo, fondata sulla centralità della persona e sull’educazione per l’intero arco della vita.
La sua cultura democratica aperta nella dimensione globale dà forma ad una visione di alta civiltà della politica e rappresenta, a mio avviso, uno dei punti più alti di elaborazione della storia sociale e culturale del riformismo democratico emiliano perché a partire dall’educazione dell’infanzia propone un modello di convivenza tra le molteplici diversità e perché intorno alla competenza distintiva dell’educazione la città costruisce il profilo della propria identità.
La “pedagogia dell’ascolto” su cui Carla amava intrattenere e approfondire con suggestioni di grande profondità era “dare fiducia, non generare risposte ma formare domande, contemplare l’incertezza, ma soprattutto aprirsi alle differenze e ai diversi punti di vista”. Non era solo un pensiero ed un agire pedagogico ma riusciva ad avere la forza per essere una grande visione di costruzione di pace nella complessità di un mondo frammentato e attraversato da molteplici conflitti.
Negli ultimi anni avevamo intensamente lavorato insieme ai contenuti progettuali della rigenerazione dell’ex mangimificio Caffarri per renderla la casa della Fondazione Reggio Childreen, dei dottorati di ricerca nati dalla collaborazione che lei aveva saputo costruire con l’università di Modena e Reggio Emilia.
E il Caffarri non fu solo l’occasione per rigenerare un luogo di lavoro e produzione dismesso, ma per portare in quella sede una rigenerazione sociale e urbana che partisse dalla creatività, dell’educazione e dall’incontro di cento linguaggi.
In fondo in quel progetto Carla portò a sintesi nella contemporaneità il contributo fondamentale dell’educazione nel rigenerare spazi urbani, innovare il modello di città, e aprirlo al mondo.
Ho avuto il privilegio di lavorare con lei dieci anni, accompagnando la crescita costante della Fondazione Reggio Childreen divenuta oggi un fondamentale punto di riferimento della progettazione e della ricerca nel campo dell’infanzia a livello internazionale e di costruire un’amicizia, di intrattenere conversazioni profonde che mai dimenticherò. E ogni volta sottoporre a lei le domande più complesse diventava l’inizio di una esperienza di crescita indimenticabile. Gli chiesi un giorno di motivarmi come potevamo esportare, in ogni luogo del mondo, il Reggio Approach tanto in contesti democratico avanzati o in Stati incapaci di riconoscere fino in fondo i diritti fondamentali delle persone.
Carla riusciva sempre, con metafore potenti, o con riflessioni profonde a motivare le fondamenta dell’approccio reggiano e la sua originale capacità di portare i “cento linguaggi “ in ogni ambito del pianeta.
Porto con me tanti ricordi e aneddoti, ma uno in particolare vorrei qui ricordare.
Andai insieme a lei ad Adelaide, in Sud Australia, per presentare il Reggio Approach ad oltre mille educatori e pedagogisti provenienti da tutto il continente australiano. Le dissi al termine dei lavori, non senza emozione e soggezione, che aveva portato Reggio Emilia fin li e in tanti altri contesti, e lei mi rispose, con grande umiltà e consapevolezza “… fin qui è arrivata la storia collettiva della città”.
La sua mitezza, la cordialità e la cortesia dell’approccio stavano coerentemente insieme alla competenza e al pensiero critico. In fondo nei tratti fondamentali della sua personalità era rinvenibile il profilo tipico e antropologico della reggianità.
Il Reggio Approach è indubbiamente una delle categorie concettuali più ricorrenti nella vicenda storica della nostra città.
Si è soliti incrociarlo e legarlo, giustamente, alla gloriosa esperienza dei nidi e delle scuole d’infanzia di Reggio Emilia.
Ma come Carla era solita evidenziare non c’è Reggio Approach senza Reggio Emilia e la città non sarebbe la stessa senza quella esperienza.
E così è stato anche per Carla. Reggio non sarà più come prima perché già oggi avvertiamo la mancanza, ma siamo consapevoli del valore dell’eredità .
La città, nel suo lungo cammino, ha sempre saputo contenere dentro di se, portandone avanti le virtù valoriali, il meglio della propria storia.
E così dovrà essere anche per l’eredità di Carla Rinaldi, con consapevolezza e impegno, le sue tante idee continueranno ad accompagnare i bambini e i cittadini della nostra città nel presente e nel futuro.
Ciao Carlina….
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