NOVELLARA (Reggio Emilia) – Nazia Shaheen ha pronunciato in aula la sua verità. “Sua” non solo perché si tratta di parole uscite dalla sua bocca, ma anche perché la donna non ha acconsentito a rispondere alle domande degli avvocati difensori degli altri imputati. Non c’è stato quello che in gergo tecnico si chiama il controesame. Un racconto, quello fatto dalla mamma di Saman Abbas, similare in quasi tutto a quello del marito e che ha definitivamente spazzato via l’immagine del gruppo, del cosiddetto clan, che pareva emergere dalle indagini e che già era comunque stato diviso dalle decisioni della corte di primo grado: ergastolo ai genitori, 14 anni allo zio, assolti i due cugini della ragazza uccisa la sera del 30 aprile 2021.
La madre e il padre fanno fronte comune, ipotizzando, anche se dicono di non averli visti, che siano stati zio e cugini a compiere il delitto; lo zio continua a collocare anche i cugini sulla scena, dicendo di essere arrivato a omicidio compiuto; i cugini parleranno forse nella prossima udienza. Nazia, dicevamo, ha raccontato la sua verità: non solo non ha ucciso la figlia, ma l’ha vista sparire davanti a sé nel buio senza saperne più nulla. Latitante dal maggio 2021 al maggio 2024, ha però sostenuto in lacrime di aver “insistito tanto” per tornare in Italia. La corte reggiana che nel dicembre 2023, condannandola appunto all’ergastolo, l’ha considerata mandante dell’omicidio, era andata anche oltre, descrivendola come possibile esecutrice del delitto: “Shabbar Abbas e Nazia Shaheen, lo si può affermare con sconfortante certezza, hanno letteralmente accompagnato la figlia a morire”, si legge, con riferimento alle immagini di quella sera, le ultime di Saman in vita. “Nazia, in modo fermo e determinato, blocca con un gesto risoluto il marito e si inoltra sulla carraia con Saman per quel minuto che non consente di escludere sia stata lei l’esecutrice materiale dell’uccisione della figlia”, mostrandosi tutt’altro che “esitante o turbata”.
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