NOVELLARA (Reggio Emilia) – Novellara. La Francia, la Spagna, il Pakistan. I presunti contatti dei latitanti con la Penisola Arabica. La cooperazione internazionale e la diplomazia assieme agli scavi nel terreno e alla raccolta delle testimonianze “alla vecchia maniera”; i droni e i satelliti, e poi l’analisi dei social. Tutto contemporaneamente. L’indagine sulla morte di Saman Abbas ha avuto da subito in sé tutto questo. Paradossalmente, per molto tempo sono mancati gli elementi base: il corpo della vittima, la scena del crimine, gli indagati, che erano spariti. Per questo, ospite del Graffio, il Maggiore Maurizio Pallante, comandante del nucleo investigato dei carabinieri di Reggio, ha parlato di “un lavoro intenso, un caso non difficile ma complicato sì”. In pochi giorni gli inquirenti avevano capito che la sera del 30 aprile 2021 non era scomparsa una ragazza, ma era stata uccisa una ragazza.
“Quando il caso è arrivato alla mia attenzione abbiamo immediatamente conferito con la procura e prospettato il fatto che fossimo di fronte ad un omicidio a seguito di una violazione del codice d’onore familiare che è molto tipico purtroppo”, ha detto Pallante.
La “questione internazionale” è stata molto rilevante. Il primo cugino, lo zio, il secondo cugino e poi padre e madre sono stati rintracciati grazie ad un notevole lavoro di cooperazione e di diplomazia che costituisce un precedente. I latitanti non avevano rinunciato ai social. La tecnologia è stata fondamentale, ma anche quella va saputa usare.
“Non è stato facile perché gli accessi erano fatti non con i loro nomi non con i loro cellulari, ma c’era un accesso su social media che poteva essere ricollegato a quel soggetto e noi abbiamo puntato su quello, visti anche alcuni flussi telematici su delle ricerche particolari”, continua il Maggiore.
Si attendono le motivazioni della sentenza stabilita dalla Corte d’Appello, che ha confermato l’ergastolo per i genitori, ha condannato lo zio a 22 anni e ha ribaltato la posizione dei due cugini, passati dall’assoluzione del primo grado all’ergastolo. Poi ci sarà la Cassazione. Nelle carte delle indagini erano emersi contatti tra il fratello minore della vittima e anche altri parenti.
“In un reato di questo tipo, dove la pubblicità permette di mondare diciamo l’errore, il disonore, ovvio che lo devono sapere tutti. Un conto però è sapere, un conto è partecipare attivamente”, ha concluso il comandante del nucleo investigativo dell’Arma reggiana.
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