REGGIO EMILIA – Disegnatori meccanici, tecnici specializzati 4.0, impiegati: ai lavoratori delle aziende metalmeccaniche piace lo smart working. E’ quanto emerge da una inchiesta promossa dalla Fiom-Cgil reggiana con la collaborazione di Unimore e Università di Milano. E’ stata condotta nella primavera scorsa e ha coinvolto 3.000 addetti di 22 aziende del nostro territorio.
Il 43% del campione interpellato giudica estremamente soddisfacente l’esperienza del lavoro agile avviata durante la pandemia, il 31% si dice abbastanza soddisfatto. Il 92% vorrebbe continuare a lavorare da remoto: “Non cinque giorni su sette, ma tre o due – spiega il segretario Fiom-Cgil Simone Vecchi – I lavoratori vorrebbero che il diritto individuale smart working venisse riconosciuto dal contratto aziendale”.
Dall’analisi emerge, come dato problematico, il fatto che lo smart working comporti spesso un aumento del tempo di lavoro. “Spesso – afferma Lisa Dorigatti dell’Università di Milano – vengono lavorate ore in più che non vengono riconosciute come straordinario”. Altro aspetto su cui riflettere, emerso dallo studio, è la minore libertà per le donne nell’organizzazione dello smart working, ossia una limitata possibilità di influenzare individualmente le modalità del lavoro da remoto. L’indagine è stata curata anche da Matteo Gaddi, ricercatore della Camera del Lavoro, e da Matteo Rinaldini, sociologo di Unimore.
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