REGGIO EMILIA – Lucia Pesapane sei una nostra concittadina con una apertura internazionale grazie alla passione per l’arte, che è diventato un lavoro. Il lavoro dell’arte, da parte di una curatrice, si può dire che concorra a realizzare la pienezza dell’autodeterminazione femminile?
“Il mio lavoro come curatrice e il mio impegno nel promuovere le donne artiste è andato di pari passo con la mia crescita personale in quanto donna e con la consapevolezza delle disparità di genere presenti nella nostra società. Il lavoro da curatrice è diventato il mezzo per raccontare un’altra Storia, che possa stabilire un equilibrio tra i generi: una storia più paritaria dove viene ridata la voce alle artiste donne, troppo a lungo messe in secondo piano in una società che è sempre stata patriarcale. Basti citare qualche numero per rendersi conto di questa disparità ancora netta nel mondo dell’arte contemporanea: negli Stati Uniti il 70% dei diplomati in Belle Arti è donna, ma solo il 45% degli artisti professionisti è donna, solo il 26% degli artisti che hanno vinto il Turner Prize sono donne, sugli 11 artisti selezionati per realizzare il Fourth Plinth a Trafalgar Square dal 1999 solo tre sono state le donne, nel 2019 c’erano solo 5 donne sulla lista stilata da Artnet sui 100 migliori artisti sul mercato dell’arte.
La situazione italiana non racconta nulla di meglio rispetto all’andamento internazionale: le donne che frequentano l’Accademia in Italia sono il 66%, ma nelle gallerie la loro presenza cala al 25%, dato che scende al 19% per quanto riguarda le mostre personali in istituzioni pubbliche. Lo stesso gender gap si osserva se si contano quante sono le donne direttrici di grandi musei: ancora ed ancora sono gli uomini ad occupare i posti di potere. Organizzando mostre di artiste, promuovendole nei musei, nelle gallerie, scrivendo testi critici sul loro lavoro cerco dunque di dare loro visibilità e di far sentire il loro messaggio”.
Dunque la tua attività è fortemente orientata da una radice ideale, quella di rendere visibili le donne dell’arte. Sono tante le mostre che hai organizzato per promuovere il lavoro delle artiste donne. Puoi ripercorrere queste diverse esperienze?
“Mi sono laureata con una tesi sulla galleria Diagramma: il gallerista, il mitico Luciano Inga Pin, fu il primo ad organizzare negli anni Settanta nella sua galleria milanese delle performance di Body Art, facendo conoscere al mondo artiste come Gina Pane, Marina Abramovic e molte altre artiste. Nel 2009 arrivai al Centre Georges Pompidou nell’equipe curatoriale che si occupava della mostra elles¢repompidou: per la prima volta Beaubourg faceva uscire dai depositi e appendeva sui muri delle sale del museo solo opere di artiste donne, rimettendo gli uomini nelle casse! È stata una mostra importantissima per prendere consapevolezza della quantità e delle qualità artistica delle opere presenti. La mostra è durata quasi un anno ed è stata visitata da 2 milioni di persone. Dopo questa mostra sono state tante le attività, non solo espositive, che mi hanno vista coinvolta in questo impegno. Nel 2014 sono stata co-curatrice della retrospettiva di Niki de Saint Phalle al Grand Palais, quando ero responsabile della programmazione artistica alla Monnaie de Paris ho curato una mostra di gruppo intitolata Women House, sulla relazione tra corpo dell’artista e spazio domestico, mostrando come alle donne sia stato impedito per secoli di accedere allo spazio pubblico. Ho curato la prima mostra personale di Kiki Smith in Francia e sto preparando una collettiva per il Grand Palais a Parigi sulle artiste degli anni 20 che si focalizzerà sulle questioni di identità e di genere”.

Niki de Saint Phalle, elles@centrepompidou, Centre Pompidou, Paris, 2009
Un discorso a parte va fatto sul rapporto tra te e una grande artista del 900 Niki de Saint Phalle. Una donna che fece dell’arte lo strumento per esprimere le sue posizioni sulle cose del mondo. Femminista ante litteram, sostenitrice dei diritti degli afro-americani, ambientalista e europeista. Come l’hai incontrata e come è nata la tua collaborazione con lei?
“Le prime opere che accoglievano il visitatore all’entrata della mostra elles@centrepompidou erano una ‘Sposa’ ed una ‘Crocifissione’ di Niki de Saint Phalle, realizzate negli anni Sessanta. Fu allora che mi accorsi delle forza del messaggio di questa artista, conosciuta quasi esclusivamente per il lato più ludico e gioioso delle sue Nana. Mi resi conto che la sua opera era poco o mal conosciuta dal pubblico e che era arrivato il momento di rimetterla in luce. La maggior parte delle opere di Niki de Saint Phalle recano con sé la speranza di un mondo nuovo in cui la donna gioca un ruolo fondamentale. Le Nana ad esempio sono donne liberate da qualsiasi stereotipo e dai ruoli tradizionali imposti nei secoli, i loro corpi rotondi esprimono una femminilità gioiosa e trionfante. Sono le guerriere di una battaglia femminista di cui Niki de Saint Phalle si fa portavoce sin dagli anni Sessanta attraverso le sue opere e la sua vita. Moglie a diciannove anni e madre di due figli all’età di ventiquattro, rifiuterà una vita convenzionale lasciando il padre ad occuparsi dei suoi figli per dedicarsi all’arte e alla difesa dei diritti dei più deboli. Niki è stata anche una performer, una regista, un architetto, dimostrando che anche una donna era in grado di affrontare grandi sfide: Molto presto capì che erano gli uomini a detenere il potere, ma quel potere lo volevo anche io. Si, avrei rubato loro quel fuoco. Non avrei accettato i limiti imposti alla mia vita solo perché ero una donna. Sarei entrata anche io nel mondo degli uomini, che mi sembrava essere avventuroso, misterioso ed eccitante. Come non dedicare una importante retrospettiva ad una tale artista e donna? E fu cosi che nel 2014 insieme alla mia collega Camille Morineau organizzammo una personale al Grand Palais, visitata da 800.000 spettatori, arrivando nella top three delle mostre più visitate degli ultimi anni”.

Niki de Saint Phalle, Il Giardino dei Tarocchi, Capalbio
Se la pandemia lo permetterà, potremo incontrare l’arte e dunque il pensiero di Niki a Capalbio a luglio grazie a una grande mostra curata da te e centrata sul rapporto artistico della De Saint Phalle con il nostro Paese. Questa è una bella occasione per dirci le ragioni che ci dovrebbero portare a non mancarla.
“La mostra prevista quest’estate, dal 9 luglio al 3 novembre, è dedicata al Giardino dei Tarocchi, opera monumentale realizzata dall’artista a Capalbio. Il Giardino dei Tarocchi è un parco di sculture ispirato ai ventidue arcani maggiori dei Tarocchi realizzato tra il 1978 ed il 1998; è il risultato di una vita intera dedicata all’arte e la prova che i sogni possono diventare realtà, anche se si è donna, artista, imprenditrice e unica finanziatrice di una tale opera. Realizzando questo giardino Niki de Sain Phalle si cimenta in un’impresa titanica, gestisce da sola un cantiere che porta avanti con accanita indipendenza e senza accettare compromessi. Per finanziarne la costruzione crea un profumo e diverse edizioni di oggetti che le permetteranno di coprire un terzo delle spese del cantiere e di salvaguardare in questo modo un’autonomia creativa. L’artista ha venticinque anni quando visita il Parc Güell di Gaudì a Barcellona e ne è affascinata. In quel momento decide che anche lei, un giorno, avrebbe costruito un giardino fantastico, capace di recare gioia al visitatore e di proporre un nuovo modello di vita comunitaria grazie all’arte. Rivelatosi come un vero capolavoro di scultura monumentale, il Giardino dei Tarocchi la consacra come una delle rare artiste capaci di misurarsi con un’opera pubblica così complessa. I Tarocchi non sono solo un gioco di carte, ma sono anche un insegnamento simbolico ed iniziatico; allo stesso modo il giardino di Saint Phalle è un percorso mistico, una passeggiata esoterica e filosofica dove le tappe segnano i punti salienti di un cambiamento interiore”.
“Il mondo è rotondo, il mondo è un seno”, parola di Niki de Saint Phalle: in effetti rotondità e colore sono elementi che contraddistinguono la sua esuberante capacità creativa. Sembra quasi volerci dire che il mondo al quale aspira non ha angoli, né tinte fosche, ma abbondanza di colori e relazioni. Sembra insomma un modo per raccontare la necessità di uno sguardo femminile sul futuro , per rappresentare quello che ne sarebbe l’esito?
“Le mie sculture rappresentano la donna al giorno d’oggi, il mondo delle donne al potere: è questa la visione e la speranza dell’artista, un mondo dove finalmente le donne sono al potere, un mondo più pacifico e più attento, più compassionevole e rivolto al prossimo. Questo messaggio, che si traduce in un vero e proprio agire politico, è oggi più che mai attuale, in una realtà dove i concetti di reclusione e solitudine minano le basi di una società che l’artista desiderava basata invece sul senso di partecipazione. Niki avrebbe certamente considerato la crisi che stiamo affrontando oggi come un momento cruciale per creare qualcosa di nuovo e migliore. Profondamente convinta della capacità umana di innovazione e reinvenzione avrebbe interpretato questo tempo come un momento di presa di coscienza collettiva, che può aprire una nuova via contro l’arroganza e l’aggressività del sistema politico, economico e finanziario”.
C’è però all’inizio del suo cammino una performance “Tiri” e “shooting paintings”, ovvero azioni di cooperazione tra pubblico e artista, in cui il pubblico può sparare con una carabina su rilievi di gesso al cui interno si trovano sacchetti di colore, che esplodono costruendo singolari prospettive cromatiche. Ma si può dire che c’è di più, rabbia e protesta per la violenza subita?
“Gli inizi della carriera di Niki de Saint Phalle sono stati rabbiosi: l’artista afferma più volte che l’Arte l’ha salvata dall’essere internata in un ospedale psichiatrico. La sua biografia ci racconta di une bambina vittima di un incesto a dodici anni, che perse entrambe le sorelle suicide, ribelle a scuola, di una giovane donna che soffriva ma che venne invece considerata pazza e come tale curata all’epoca tramite elletrochoc. Per lei impugnare un fucile e sparare contro le tavole bianche in gesso era un modo “per fa sanguinare la pittura”, per scardinare l’egemonia dell’astrattismo che dominava al tempo in Europa e negli US e allo stesso tempo un modo per scaricare la sua rabbia contro un sistema opprimente nei confronti della donna che la voleva ridurre solo a madre e moglie. I “Tiri” sono delle opere che si collocano tra la pittura, la performance e la scultura. Venivano effettuati secondo un rituale ben preciso: gli oggetti erano scelti attentamente e fissati alla tela insieme a dei sacchetti riempiti di colore, poi il tutto veniva ricoperto di gesso bianco. In seguito l’artista, o degli amici, sparavano colpendo i sacchetti che colavano sulla tela a creare un’opera d’arte astratta”.
Natalia Maramotti
Chi è Lucia Pesapane
Da molti anni Lucia Pesapane cura retrospettive su Niki de Saint Phalle, da quella organizzata al Grand Palais a Parigi nel 2014, a quella al Guggenheim Museum di Bilbao e al The National Art Center di Tokyo. È autrice dei libri Il Giardino dei Tarocchi e Le Dictionnaire des symboles de Niki de Saint Phalle. La sua attività di curatrice si è sempre rivolta a promuovere il lavoro delle artiste donna. Tra le mostre da lei organizzate: elles@centrepompidou, Centre Pompidou, 2009; Gerhard Richter, sempre al Centre Pom pidou, 2011; Women House; Grayson Perry e Kiki Smith, a La Monnaie de Paris nel 2018 e 2019. Tra le sue mostre in programmazione: Femmes pionnieres desannes folles a Paris e Jean Tiuguely per la Reunion des Musees nationaux previste nel 2022.