REGGIO EMILIA – Da marzo dello scorso anno a oggi, il consorzio delle cooperative sociali reggiane, in collaborazione con la prefettura, ha accolto più di 600 profughi di origine ucraina. Il vicepresidente di Dimora d’Abramo e la coordinatrice del centro di accoglienza straordinaria hanno fatto il punto sui numeri attuali e spiegato le peculiarità di questo nuovo flusso di arrivi.
A un anno dallo scoppio della guerra in Ucraina, sono ancora 320 le persone in accoglienza nella rete delle cooperative reggiane. A partire da marzo 2022 a oggi, il consorzio con a capo la prefettura ha registrato un flusso di circa 620 persone. Di queste, circa 135 si sono dimesse in modo volontario e in accordo con i gestori; altri 130 circa si sono allontanati senza dare alcuna comunicazione. “Da quello che ci hanno riferito – le parole di Erika Bin, coordinatrice del centro di accoglienza straordinaria – soprattutto le persone che si sono dimesse in modo volontario hanno scelto di fare rientro in Ucraina per sostenere la propria famiglia. Infatti, abbiamo in prevalenza in accoglienza donne con minori”.
La cooperativa sociale Dimora d’Abramo è ormai una realtà consolidata, che dal 2014 accoglie profughi e richiedenti asilo. Tuttavia, se prima del 2022 gli arrivi riguardavano prevalentemente giovani uomini adulti, provenienti dall’Africa e dall’Asia, con il flusso di profughi di origine ucraina il target è cambiato portando le cooperative ad adeguare il loro sistema di accoglienza. “Abbiamo dovuto rafforzare il nostro settore mediazione, perché dal punto di vista linguistico è arrivato tutto un nuovo modo di lavorare con le persone – ha spiegato 
 Marco Aicardi, vicepresidente della Dimora d’Abramo – Inoltre, è stato complesso occuparsi di un numero molto ampio di minori, soprattutto in età scolare, ma anche di adolescenti”.
Gli arrivi dall’Ucraina sono stati gestiti in tre fasi: una prima accoglienza informale grazie al contributo dei cittadini, una successiva sistemazione in piccoli appartamenti per evitare la formazione di ghetti e una terza fase con il coinvolgimento del sistema di Protezione civile. Il lavoro continua ancora oggi, perché “il processo di normalizzazione della vita sul nostro territorio sarà lungo”, ha aggiunto Aicardi. Fondamentale, in questo processo, è stato il lavoro di mediatori interculturali che hanno aiutato a comprendere le esigenze e le potenzialità dei nuovi arrivati. “Abbiamo dovuto lavorare con loro, per far capire che le risorse erano limitate e che quindi era necessario abituarsi a degli standard qualitativi di un certo tipo”, ha concluso il vicepresidente della Dimora d’Abramo.
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