REGGIO EMILIA – Nel 2023 l’Ausl reggiana ha ricevuto contributi in conto esercizio per circa 980 milioni di euro. La maggior parte di questa somma – 820 milioni – viene distribuita su base capitaria; in altre parole, è proporzionale alla popolazione. I restanti 160 milioni sono costituiti da quasi una cinquantina di voci, ciascuna delle quali relativa a uno specifico aspetto dell’attività delle aziende sanitarie: dalla copertura dei rinnovi contrattuali del personale a risorse per i pronto soccorso, dai fondi per il 118 a quelli per la ricerca.
Il premio Nobel Giorgio Parisi, l’oncologo Silvio Garattini, il presidente del Consiglio superiore di sanità Franco Locatelli e altri 11 scienziati hanno diffuso nelle settimane scorse un appello per il salvataggio della sanità pubblica. Hanno chiesto che il finanziamento del Servizio sanitario nazionale passi dal 6% del Pil all’8%, come accade in altri Paesi europei.
Cosa cambierebbe per la sanità reggiana? Di quante risorse in più disporrebbe la nostra Ausl? La risposta è che le somme aggiuntive rispetto al livello di finanziamento attuale supererebbero i 300 milioni di euro. Tutti i problemi in cui si dibatte la sanità, ha detto venerdì sera a Decoder il direttore generale dell’Ausl Cristina Marchesi, sono una conseguenza del sottofinanziamento. Quei 300 milioni in più all’anno consentirebbero di pagare meglio i medici, in particolare quelli specializzati in radioterapia, medicina nucleare, microbiologia, chirurgia generale e quelli che lavorano nei pronto soccorso, professionisti che non svolgono la libera professione e che sono ormai introvabili.
Trecento milioni in più permetterebbero di retribuire in modo più adeguato gli infermieri, altra categoria in via di estinzione, di fronteggiare l’inflazione galoppante sui farmaci, di sostenere più agevolmente le spese per i malati cronici e gli anziani, di investire di più in nuove tecnologie. Detta così sembra un sogno, ma in altri paesi europei accade.
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