REGGIO EMILIA – “A sei anni dal varo del piano amianto della Regione Emilia Romagna, dopo una prima mappatura molto parziale nel 2003, non sappiamo ancora quanto amianto ricopra i tetti delle case reggiane, e in particolare dei capannoni industriali e agricoli”. Così Davide Vasconi, presidente di Afeva Reggio Emilia.
Rivedere il piano amianto della regione per arrivare ad una completa mappatura della presenza della fibra, fuori legge dal 1992 ma ancora responsabile dell’insorgenza di gravi malattie. E’ la richiesta dell’Afeva, associazione familiari e vittime dell’amianto, emersa durante il convegno organizzato in collaborazione con la Cgil. L’appello è rivolto anche alle amministrazioni locali. Secondo l’associazione, l’esempio da seguire è quello di Rubiera, il comune segnato dalle 52 vittime dello stabilimento Eternit. Dieci anni fa l’amministrazione ha avviato un percorso di mappature e successive ordinanze con l’obbligo di rimozione rivolto ai privati.
“Grazie ad un impegno comunitario, perché i privati si sono dimostrati attenti a questo tema, dopo aver bonificato tutti gli edifici pubblici in questi anni abbiamo messo in sicurezza tutto il territorio: abbiamo rimosso 280mila metri quadrati, una quantità spaventosa figlia del fatto che avevamo uno stabilimento – sottolinea il sindaco di Rubiera Emanuele Cavallaro – Oggi si può dire che siamo un comune molto vicino all’obiettivo amianto zero, uno dei pochi in Italia probabilmente”
“Ci sono buoni incentivi che si possono cogliere, dal click day dell’Inail alla conversione con il fotovoltaico”, aggiunge Vasconi.
L’amianto ha avuto un impatto drammatico sul nostro territorio, dove è stato istituito il registro regionale dei mesoteliomi, per il monitoraggio del tumore che si può manifestare anche a 50 anni di distanza dall’esposizione. Finora a Reggio, il maggiore numero di casi si è registrato nel 2016: 36. Il dato è sceso a 17 lo scorso anno. “Possiamo dire che il picco è stato superato? Mi piacerebbe molto dirlo, il picco è previsto tra il 2025 e il 2030. Questi dati sembrano indurci ad un cauto ottimismo ma abbiamo necessità di continuare a registrare”, chiosa Antonio Romanelli, direttore del Servizio prevenzione e sicurezza sui luoghi di lavoro dell’Ausl.
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