REGGIO EMILIA – Il mondo è talmente piccolo e senza confini che una storia iniziata 6500 km lontano da noi, è arrivata a Reggio. La protagonista si chiama Raija. Ha 30 anni. Fino al 18 agosto abitava a Jalalabad, in Afghanistan. Era vedova da 20 giorni, quando i talebani hanno preso il potere. Suo marito era un militare dell’esercito regolare ed è morto combattendo. Lei, analfabeta e incinta del quinto figlio, è partita con i suoi 4 bambini, il più piccolo di tre anni, il più grande di 8 ed è arrivata all’aereoporto di Kabul. Chissà chi si è accorto di quella famiglia, chissà chi le ha fatto capire che salendo nella pancia di un aereo sarebbe volata verso una speranza di vita. Iera sera Raija è stata accolta dall’Ovile e ora con i suoi bimbi è in una casa della nostra provincia.
“Sarà importante, assieme ai mediatori e agli psicologi, capire quanto è grosso il trauma che hanno vissuto queste persone – spiega Gabriele Mariani, direttore de “L’Ovile” -, dalla morte del padre di famiglia a quello che hanno passato nel viaggio fino a Kabul, all’aeroporto, nel tragitto verso l’Europa. Loro non si rendono ancora conta di dove sono”.
Tra quindici giorni comincerà la scuola. I bimbi di Raija forse non sanno neppure cosa sia. Potranno frequentarla?
“Tutte le persone accolte nei Centri di accoglienza straordinari frequentano le scuole, che siano dell’infanzia o quant’altro – racconta Mariani – C’è anche chi arriva a frequentare l’università. Sicuramente per i bambini partecipare alla scuola è un importante momento di integrazione.”
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