REGGIO EMILIA – C’è un padiglione, nell’estremità ovest del parco del San Lazzaro, confinante con via Doberdò, ancora oggi intitolato ad Arturo Donaggio. Fu per lungo tempo un reparto di isolamento. Attualmente è abbandonato, in attesa di ristrutturazione. Di Arturo Donaggio la memoria collettiva ha dimenticato le responsabilità. E’ uno dei dieci scienziati italiani firmatari il 14 luglio 1938 di quel “Manifesto della razza” che diede inizio anche in Italia alle persecuzioni nazifasciste contro gli ebrei, alle deportazioni nei campi di sterminio.
Donaggio iniziò la sua carriera al San Lazzaro a 25 anni, poi si trasferì a Cagliari, Messina, Torino, Modena, e infine a Bologna. Era direttore della clinica neuropsichiatrica dell’Università di Bologna e presidente della Società italiana di psichiatria quando firmò, ormai settantenne, quell’infame manifesto. Nel 2019 il Comune di Roma ha eliminato il suo nome da una strada della capitale. Lo stesso ha fatto la sua città natale, Falconara.
Al confine ovest del San Lazzaro assieme al padiglione Donaggio ci sono anche due strutture intitolate a Vittorio Marchi: una è ormai in totale decadenza, l’altra è diventata un accogliente studentato di Unimore. Marchi è stato il responsabile dei laboratori scientifici del San Lazzaro dal 1882 al 1888. Guardando invece all’estremo lato opposto, verso il Rodano, nell’Ottocento venne acquistata villa Cugini, trasformata nel casino Chiarugi per malati benestanti, in seguito abbattuto. A inizio Novecento nel parco del casino Chiarugi fu costruito il piccolo padiglione Valsalva, che oggi ospita la direzione del dipartimento di salute mentale e dipendenze patologiche.
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