REGGIO EMILIA – Il boom edilizio degli anni Novanta e del decennio successivo ebbe alcune caratteristiche di fondo. Primo: fu soprattutto un boom dell’edilizia residenziale. Secondo: con un’unica eccezione, di cui parleremo tra poco, vide all’opera non le grandi aziende, impegnate su fronti diversi, ma una miriade di piccoli imprenditori, non pochi dei quali qualche anno dopo sarebbero finiti nelle cronache giudiziarie. Terzo: quasi il 60% delle nuove costruzioni fu realizzato non attraverso piani particolareggiati, ma con lotti a intervento diretto, che sono soggetti a meno controlli da parte dell’amministrazione locale. “Si è costruito troppo e male”, commentò in seguito Ugo Ferrari, assessore all’Urbanistica tra il 2004 e il 2014: “Basta costruire in territorio agricolo, basta invadere con nuove costruzioni la via Emilia, fermiamo la cementificazione, costruiamo meglio, scommettiamo sulla rigenerazione e riqualificazione della città esistente”.
Alcuni numeri fotografano la stagione della turboedilizia. Nel 2004 a livello provinciale si arrivò a costruire 5.722 nuovi appartamenti, un terzo dei quali a Reggio città. Nel 2015, passata la sbornia edilizia, in tutta la provincia si costruirono 437 appartamenti. Gli oneri di urbanizzazione incassati dai Comuni sfiorarono, sempre nel 2004, i 60 milioni di euro. Il Comune di Reggio toccò il massimo nel 2005, con 25,7 milioni di euro: più del doppio di quanto incamerato quell’anno dal Comune di Bologna. Tra il 2001 e il 2011 la quota di territorio urbanizzato nel comune capoluogo balzò dal 17% al 20,7%.
Nel 2006 la Giunta di Graziano Delrio, con il Piano poliennale di attuazione, rinviò il 35% delle volumetrie previste. Delrio aveva annunciato l’avvio di quella che chiamò “una nuova stagione urbanistica”. Ma l’edilizia sembrava un treno in corsa, che nessuno era in grado di fermare. A Parco Ottavi la Cooperativa Muratori di Reggiolo iniziava la realizzazione di un intero quartiere con 1.500 appartamenti.
Ma il mercato era ormai saturo e il vento stava per cambiare. Il tonfo fu più fragoroso proprio là dove l’azzardo era stato più grande. (3/continua)
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