REGGIO EMILIA – Il capo indiscusso era latitante in Spagna: Giuseppe Romeo, 37 anni, poi catturato a marzo 2021. Uomo di grande intelligenza che però, secondo le indagini, metteva a servizio del crimine, se è vero che era in grado di dialogare da solo con i cartelli sudamericani della droga e di far arrivare da Brasile, Bolivia e in particolare dalla Colombia, centinaia di chili di stupefacente al mese. Soprattutto cocaina, e poi marijuana e hashish. Il fatto di poter lavorare con lui, uomo della ‘ndrina calabrese Staccu di San Luca, in forte ascesa, voleva dire salire un gradino in più della scala. Una volta arrivata nel vecchio continente, ai porti di Anversa o Rotterdam, la droga doveva essere distribuita, e Romeo aveva i suoi gruppi di riferimento.
In Italia c’era la squadra emiliana: anzi, soprattutto reggiana. Venti le persone finite in carcere che bazzicavano o vivevano nella nostra provincia delle 41 complessive destinatarie delle misure cautelari eseguite all’alba da 160 militari e finanzieri in sette diverse regioni. Al vertice del gruppo reggiano – sempre secondo l’inchiesta – Pietro Costanzo, 31 anni, e il 34enne Francesco Silipo. Quest’ultimo è stato testimone dell’omicidio del fratello Salvatore, morto alla Dante Gomme di Cadelbosco Sopra il 24 ottobre 2021, delitto per il quale è alla sbarra il titolare Dante Sestito. Non c’è alcun legame tra quel fatto e questa indagine.
L’odierna operazione è frutto di accertamenti iniziati a fine 2019 e terminati a marzo 2020. Sono stati sequestrati 87 chili di stupefacente oltre a beni per 55 milioni, ma secondo le indagini la presunta organizzazione a delinquere ha movimentato qualcosa come 1,7 tonnellate di sostanze e, nel solo periodo d’indagine, 8 milioni in contanti. Il denaro sarebbe stato parzialmente reimpiegato in 14 società intestate a prestanome, utilizzate anche per mascherare i trasporti di droga attraverso false bolle di accompagnamento, visto che a marzo si era in pieno lockdown. Le misure sono state disposte dal gip di Bologna Alberto Gamberini in base ad accertamenti condotti dalla Direzione distrettuale antimafia ma coordinati dalla Procura Nazionale Antimafia e Antiterrorismo, visto che sono emerse convergenze con filoni investigativi delle Procure di Firenze, Potenza e Trento. Le verifiche sono state eseguite dagli uomini del Nucleo di polizia economico-finanziaria di Bologna. Gruppo nel gruppo, gli indagati cinesi. Erano loro ad occuparsi di pagare i cartelli.
“In Italia la droga arrivava al porto di Gioia Tauro – spiega il colonnello Fabio Ranieri, comandante nucleo di polizia economico-finanziario della Gdf di Bologna – C’era un gruppo cinese che provvedeva in tempi velocissimi al pagamento verso il Sudamerica”. Si tratta del metodo del “fei ch’ien”, sistema “informale” di trasferimento di denaro, attraverso il quale il gruppo cinese avrebbe anche ripulito 5 milioni di euro.
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