REGGIO EMILIA – Abbiamo visto occhi rossi per la stanchezza e mani che faticano con i doppi guanti ad infilare un ago. Fuori si parla di cenoni, dentro si cerca aiutare le persone a respirare. Fuori c’è qualcuno che dice che il virus non esiste, dentro lo si vede negli sguardi dei pazienti. Quegli stessi sguardi che oltrepassano le tute bianche, la notte tornano e non fanno dormire. Ma la forza è straordinaria, è stata paura a marzo e aprile, oggi è diventata competenza e professionalità.
 Tra la terapia intensiva e il ritorno a casa c’è di mezzo un mondo. Una organizzazione pensata durante l’estate, che ha retto alla prova della seconda ondata. Ci sono percorsi strutturati sulla rete dei sei padiglioni ospedalieri, ad ogni spazio corrisponde un diverso livello di intensità di cura a cui ogni paziente può accedere a seconda dell’evoluzione della malattia. Ma ci sono anche alberi di Natale e casse per diffondere la musica. La consapevolezza e la responsabilità di doversi sostituire agli affetti famigliari. La stanchezza accumulata ormai da tanti mesi, la preoccupazione per quello che potrà ancora succedere. La morte che assume un significato diverso, perchè qui non si erano mai viste così tante persone andarsene tutte insieme.
 Ci avete vestiti e svestiti, per proteggerci e permetterci di svolgere il nostro lavoro nella massima sicurezza, raccontandoci con orgoglio tutto quello che avete imparato. Oggi non vi chiamano più eroi, anzi talvolta siete il bersaglio della frustrazione che arriva dall’esterno. Ma noi vi diciamo grazie.
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