REGGIO EMILIA – L’anno prossimo sarà il 40° anniversario dell’inaugurazione dei padiglioni fieristici di Mancasale, avvenuta il 2 aprile 1986. Proprio nelle settimane scorse, a 13 anni di distanza dalla presentazione della domanda di concordato preventivo in Tribunale, la procedura di liquidazione di Reggio Emilia Fiere si è infine conclusa. A fine di novembre l’assemblea dei soci ha approvato il bilancio di liquidazione. Nei mesi scorsi il liquidatore giudiziale Aspro Mondadori aveva depositato il rendiconto finale e i giudici avevano decretato la completa esecuzione del concordato. Completa esecuzione nel senso che non resta più nulla da vendere per rimborsare i creditori. All’attivo restano 1.826 euro a disposizione di creditori risultati irreperibili.
La chiusura della procedura consente di tirare le somme di una vicenda che ha lasciato una ferita nel tessuto economico reggiano e che è finita in modo assai diverso dalle previsioni iniziali. Il liquidatore è riuscito a racimolare circa 10 milioni: 6,8 dalla cessione dei padiglioni di via Filangieri, il resto dalla vendita di aree industriali a Reggio, Corte Tegge e Fora di Cavola. Le somme recuperate hanno permesso di rimborsare solo una parte dei debiti. Succede spesso, in casi come questi. Ma le premesse erano altre.
Nel 2013 gli amministratori delle Fiere presentarono una proposta concordataria che prevedeva di ricavare dalla vendita del patrimonio immobiliare 27 milioni di euro. Qualche mese dopo, in settembre, il commissario giudiziale Tiziana Volta rivide al rialzo le stime. Il patrimonio delle Fiere, scrisse nella sua relazione, valeva quasi 38 milioni. E dunque, dopo aver rimborsato integralmente i creditori, si sarebbero potuti restituire ai soci 10 milioni. Questo prevedeva il piano approvato a larghissima maggioranza dall’adunanza dei creditori l’anno successivo, con il solo voto contrario di Unipol Banca.
Nel decreto di omologa del piano, datato 11 giugno 2014, i giudici della sezione fallimentare scrivevano che “nessun dubbio” poteva “sussistere in ordine alla fattibilità economica” della proposta. E aggiungevano che “lo scontato esito positivo della fase liquidatoria […] rende superflua qualunque indagine su quale sia la corretta modalità di valorizzazione dei cespiti immobiliari”. Il risultato è stato assai diverso. A parte i dipendenti e le banche che vantavano ipoteche sugli immobili, gli altri creditori hanno raccolto solo le briciole.














