REGGIO EMILIA – Lo scorso dicembre ha inviato una lettera al quotidiano isrealiano Haaretz rivolgendosi al Governo Nethanyau: “Liberate il cecchino palestinese che ha ucciso mio figlio se questo può servire alla liberazione di alcuni degli ostaggi in mano ad Hamas”. Robi Damelin, israeliana di origini sudafricane, è una delle voci simbolo di un pacifismo israeliano che sembra essere quanto mai minoritario in questo periodo.
Nel 2002 ha perso un figlio 30enne, David, mentre era in servizio come ufficiale dell’esercito. Fu ucciso a un check-point nei Territori Occupati da un ragazzo palestinese di 22 anni. Dopo quella tragedia, non ha ceduto però alla vendetta e all’odio e ha intrapreso un percorso di riconciliazione fondando una associazione composta da israeliani e palestinesi che si batte per il dialogo e la pace. Nei prossimi giorni, su invito del Comune di Reggio, sarà in città per partecipare a una serie di iniziative.
Le chiediamo che cosa dirà agli studenti e più in generale alle persone che incontrerà. “Prendete tutte le vostre opinioni e le vostre convinzioni e mescolatele su una sedia di fronte a voi, poi ascoltatemi dal profondo del vostro cuore”. Chiediamo quanto sia complicato, oggi, lavorare sulla pace all’interno delle lacerate comunità palestinesi e israeliane: “Capisco la rabbia e il senso di umiliazione da parte di molti israeliani dopo l’attacco del 7 ottobre. Mi chiedo che adulti potranno diventare i bambini cresciuti nell’oppressione e sotto i bombardamenti di Gaza, oppure quelli con la continua paura dei territori confinanti di Sderot o Ashkelon. Però, posso dire che ci sono cittadini israeliani che abitano la parte Sud del Pese, vicino alle zone attaccate da Hamas, che si stanno spendendo per la pace e questo è molto incoraggiante”.
A Reggio, nei prossimi giorni, dovrebbe intervenire anche Laila AlSheik, giovane donna palestinese impegnata da anni nel percorso di riconciliazione al fianco di Robi Damelin.
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