REGGIO EMILIA – Lo scorso febbraio, Ireti (società del Gruppo Iren), si era aggiudicata la gara per la selezione del socio privato di Arca (Azienda reggiana per la cura dell’acqua), società mista che si occuperà della gestione del Servizio idrico integrato nella provincia di Reggio Emilia.
La concessione avrà inizio il primo gennaio 2024 e avrà durata di 17 anni. La nuova società sarà a maggioranza pubblica, per il 60%, mentre il restante 40% sarà appunto di Ireti.
Nei comuni del territorio è iniziato l’iter approvativo che porterà alla costituzione della nuova realtà. La Giunta del Comune di Reggio ha sottoscritto una delibera lo scorso 23 maggio per dare il via libera all’operazione e il 26 giugno il Consiglio Comunale sarà chiamato ad approvare il documento.
Non mancano però polemiche. Le ha sollevate ad esempio la lista Bibbiano Bene Comune, espressione della Minoranza che in una nota esprime preoccupazione per il fatto che all’articolo 12 dei patti parasociali per la gestione della società è sancita la non distribuzione degli utili per tutta la durata della concessione. “C’è qualcuno – scrive Bibbiano Bene Comune – disposto a pensare che Iren abbia deciso di tenersi un 40% di Arca per fare beneficenza rinunciando agli utili?”.
Nel comune capoluogo nutre perplessità anche la lista Coalizione Civica che vorrebbe fosse fatta chiarezza sulla destinazione degli utili. “Si potrebbe destinarli alle famiglie reggiane in difficoltà con le bollette”, propone il consigliere Dario De Lucia: “Alcuni documenti dicono che possono essere ripartiti tra socio pubblico e chi gestisce la società dal punto di vista privato. Altri invece che dicono che non possono essere toccati. Bisogna riuscire bene a capire prima del voto cosa fare con queste risorse”.
Nell’insieme la filosofia che ha portato alla costituzione della nuova società (con la proprietà pubblica delle reti e il controllo pubblico della gestione) sembra tuttavia rispecchiare quanto emerso dal referendum sull’acqua pubblica del giugno 2011 attraverso il quale 26 milioni di cittadini italiani sancirono che su tale risorsa non si sarebbe potuto più fare profitto.
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