REGGIO EMILIA – La sua faccia. Più ancora dei suoi piedi, c’era la sua faccia. I movimenti in campo, il ballare col pallone, la grazia potente, le cavalcate; le cose impossibili, come la punizione pallonetto contro la Juve: sono state tutte conseguenze della sua faccia.
Sarà per sempre diviso in due, nei ricordi del mondo. Fragile, controverso, debole Diego. Geniale, onirico, a tratti divino Maradona.
L’essere stato campione unisce le due parti, mette assieme generosità ed estrema solitudine e ci consegna qualcuno che era già storia in vita e che adesso è leggenda.
La sua faccia. Re Inca, gaucho della pampa, ragazzo di Villa Fiorito. La sua faccia fa sì che adesso quasi tutti allo stesso modo sentano di aver perso qualcosa: i più giovani che l’hanno visto solo nelle immagini d’archivio e chi, come il reggiano Maurizio Neri, che dalla maglia granata, dopo un anno ad Ancona, nell’88 è passato a vestire quella del Napoli, è stato suo compagno di squadra. “Ho sempre discusso con chi lo denigrava; mi ricordo il mio esordio in A, Verona-Napoli: mi tremavano le gambe. Diego mi disse: ‘Non ti preoccupare, ci sono io, se sei in difficoltà passa a me. Il suo cuore, che alla fine l’ha tradito, era incredibile”.
‘Tu, noi, i sogni, il calcio: grazie per esserti donato e perdonaci se non ti abbiamo sempre meritato’ scrive un altro reggiano, Lele Adani, innamorato dei campioni della terra Argentina.
Anche Walter De Vecchi, nella Reggiana dall’86 al ’92, ha giocato con lui, nella sua prima stagione in Italia. “Quello che ha fatto per sé e per la gente, il riscatto sociale, è testimoniato dalla folla che lo sta salutando in Argentina e a Napoli: il più grande di sempre”.
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