BRESCELLO (Reggio Emilia) – La Cassazione, respingendo gli ultimi ricorsi, fa calare il sipario giudiziario sull’operazione Grimilde, mettendo definitivamente nero su bianco come fosse operativa una struttura ‘ndranghetista autonoma facente capo alla famiglia Grande Aracri di Brescello, in azione anche in un periodo successivo rispetto a quello accertato dal maxiprocesso Aemilia.
La Suprema Corte ha infatti ora chiuso anche il filone di Grimilde con rito ordinario e ritenendo inammissibile il ricorso del 71enne Francesco Grande Aracri ha confermato sia la sua condanna a 24 anni di reclusione, sia il suo ruolo di vertice all’interno della cosca. Per la famiglia cutrese-brescellese quest’inchiesta antimafia della pm Beatrice Ronchi ha portato condanne pesanti anche per i due figli del capoclan: 9 anni di carcere per il 35enne Paolo (patteggiati in Appello) e 14 anni e 4 mesi di cella per il 45enne Salvatore detto “Calamaro” (quest’ultimo giudicato con rito abbreviato).
Un altro lato importante di questa sentenza è l’aver ritenuto infondati i ricorsi di due imprenditori edili di Cadelbosco Sopra, cioè il padre Gaetano Oppido (condannato a 3 anni e 8 mesi) e il figlio Domenico (per lui 6 anni e 4 mesi di carcere). Per la Cassazione entrambi sono coinvolti nella clamorosa truffa da oltre 2 milioni di euro ai danni del Ministero delle infrastrutture. Valutati inammissibili poi i ricorsi, quindi condanne confermate per Nunzio Giordano di Montecchio e Antonio Rizzo di Cadelbosco Sopra. Si è nel frattempo invece prescritta la posizione di Salvatore Caschetto.
Fra le numerose parti civili che dovranno essere risarcite risultano significative quelle relative ai Comuni di Brescello e Cadelbosco sopra, tutelati dall’avvocato Salvatore Tesoriero che parla di due comunità ferite dalle infiltrazioni mafiose ma non hanno chiuso gli occhi, bensì reagito entrando nel processo dalla parte giusta, cioè quella della legalità.
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