CORREGGIO (Reggio Emilia) – La sua interpretazione di “Hallelujah” di Leonard Cohen fu definita “eccellente” dal Times e inclusa da Rolling Stone’s nella lista delle 500 più grandi canzoni di tutti i tempi. T-shirt e pantaloncini corti, Jeff Buckley la cantò alla Festa dell’Unità di Correggio il 15 luglio 1995, unica data estiva del tour italiano. Il 17 febbraio il cantautore statunitense si era esibito al Vidia Club di Cesena. Poi non tornò più.
Figlio del cantante folk leggendario Tim Buckley, Jeff morì annegato nel Wolf River, un affluente del Mississippi a Memphis il 29 maggio 1997. Quella sera a Correggio aveva 28 anni.
“Non era uno qualunque, anche se non era ancora entrato nella leggenda. Jeff Buckley che, prima del concerto ti guardava sorridente, gli zigomi alti del padre, gli occhi piccoli, un accenno di piercing all’ombelico, magro come un punto esclamativo, affascinante come un punto interrogativo”. Così lo descriveva nel suo libro ‘Rock Live’ il giornalista Massimo Cotto. A quel concerto c’erano circa 2mila persone. A comprarlo, alla Milano Concerti di Roberto De Luca, oggi presidente di Live Nations, fu proprio l’allora Pci di Correggio e un gruppo di giovani che portò a quella festa grandi nomi come Bob Dylan.
Jeff Buckley l’anno precedente aveva pubblicato “Grace”, l’unico album in studio che riuscì a pubblicare da vivo. Un album che raccolse pareri entusiasti dai critici, dal pubblico e da altri musicisti (come Jimmy Page, Robert Plant, Bob Dylan, fino a David Bowie che incluse Grace nella lista dei dieci dischi che avrebbe portato su un’isola deserta). Correggio quel giorno lo accolse come solo le feste dell’Unità sanno fare, un bel piatto di pasta cucinato dalle cuoche al ristorante tradizionale, insieme al gnocco fritto. Jeff, anche se molto schivo, non si sottrasse gli autografi. Poi l’esibizione, da solo con la chitarra, e i fan inchiodati ad ascoltare quella voce che rimarrà per sempre leggenda.
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