REGGIO EMILIA – Il primo passo è il consultorio: non un semplice ambulatorio ma un luogo di accoglienza e di ascolto. E’ qui che la donna che ha deciso di interrompere la gravidanza inizia il percorso, in alternativa al ginecologo di fiducia, per farsi rilasciare la certificazione necessaria in ospedale.
In provincia i consultori sono più di 20, servizi nati quasi 50 anni fa per l’informazione, la prevenzione e l’assistenza per donne e giovani nell’ambito della sessualità e della maternità. Come previsto dalla legge 194, la prima figura che la persona incontra è quella di una ostetrica che è stata formata per affrontare questo tipo di colloquio.
Nel primo incontro si cerca di individuare le possibili alternative, si può proporre l’appuntamento con lo psicologo o gli assistenti sociali. Poi c’è la visita del ginecologo, tutto gratuitamente. La presenza di personale obiettore ha rappresentato un ostacolo al percorso previsto dalla legge 194, ma l’Ausl ha deciso di intervenire: “Noi da più di un anno abbiamo fatto questa scelta – ha spiegato Angela Venturini, responsabile del programma Interruzione Volontaria Gravidanza – ogni medico della struttura pubblica, sia consultoriale che dell’ospedale, è tenuto comunque a fare la certificazione. Il ginecologo, anche se obiettore, è tenuto ad eseguire l’ecografia di datazione, perché se c’è una irregolarità mestruale ci dà già una idea di che cosa noi possiamo proporre alla donna, può parlare con lei delle motivazioni se la donna vuole, le redige la certificazione comunque e fa un primo colloquio di contraccetazione”.
L’aborto farmacologico può essere praticato fino alla nona settimana di gravidanza, quello chirurgico fino al 90esimo giorno. Fino all’ultimo la donna può cambiare idea. Le interruzioni volontarie di gravidanza sono in continuo calo. Nel 2020 a Reggio Emilia ne sono state effettuate 753. Secondo l’Ausl, la presenza di una consistente quota di personale obiettore (il 35% dei ginecologi e il 23% degli anestesisti) non impedisce l’applicazione della legge 194.
“Non abbiamo bisogno di avere il 100% del personale non obiettore. Ci serve avere il 100% del personale che ascolta le donne che fanno una richiesta, ci serve che nessuno le giudichi, ci serve creare una cultura, quella troviamo che sia particolarmente utile e secondo me il fatto che tutti facciano il certificato ha aiutato molto, anche la comprensione del fenomeno, perché prima era abbastanza facile dire questa è una interruzione di gravidanza, non è una cosa che mi compete, eh no, ti compete, la sofferenza è anche tua, quindi tu la affronti”.














