REGGIO EMILIA – La proroga delle indagini notificata ieri al sindaco Luca Vecchi è scaduta più di 9 mesi fa. E’ questo uno dei non pochi aspetti singolari di questa vicenda, che tiene di nuovo banco da alcune settimane.
La richiesta, avanzata dalla Procura e autorizzata dal giudice per le indagini preliminari risale infatti al 29 novembre 2019. Trattandosi di una proroga di 6 mesi, è scaduta alla fine del maggio 2020. Non è dato sapere se a quel punto – ammesso che fosse possibile – ci sia stata un’ulteriore richiesta di proroga, che – se autorizzata – sarebbe comunque a sua volta scaduta nel novembre dell’anno scorso. Da questa scansione temporale si deduce che non siamo in presenza di fatti nuovi, ma della notifica di atti che risalgono a circa un anno e mezzo fa. L’unico fatto nuovo è che il sindaco di Reggio Emilia ha appreso formalmente di essere stato indagato nel 2019.
Ricapitolando: l’inchiesta della Procura, che riguarda una mezza dozzina di bandi comunali, è cominciata nel 2016. Vecchi è stato iscritto nel registro degli indagati nel giugno 2019, ma ne è stato informato dal gip solo nel marzo 2021 in relazione a una richiesta di proroga delle indagini risalente a 15 mesi prima e scaduta da 9 mesi. Lo stesso vale, verosimilmente, per un’altra ventina di persone nella stessa posizione. Non sembra il ritratto di una giustizia che funziona bene.
Ad aumentare la confusione ha contribuito anche il magistrato Nino Di Matteo, relatore al Csm della delibera di trasferimento del procuratore capo di Reggio Emilia Marco Mescolini. Intervenendo alla seduta del plenum del 24 febbraio scorso, Di Matteo si riferì al sindaco prima come “indagato”, poi come “imputato”. Definizione, quest’ultima, priva di fondamento. L’inchiesta sugli appalti non è ancora arrivata all’udienza preliminare, quindi non ci sono imputati. Non lo sono coloro che nel settembre 2020 hanno ricevuto l’avviso di conclusione delle indagini. Tanto meno lo sono coloro che, come Vecchi, l’avviso non lo hanno ricevuto.
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