REGGIO EMILIA – Il 12 giugno 2014, con l’emersione dell’inchiesta Octopus – indagine iniziata tre anni prima dalla guardia di finanza e dai carabinieri, coordinati dal sostituto procuratore Valentina Salvi – la nostra città iniziava a familiarizzare con termini come società “cartiere” e frodi “carosello”.
Allora furono 41 le denunce, di cui 8 per associazione per delinquere finalizzata alla frode fiscale basata principalmente su fatture per operazioni in realtà inesistenti; tra le altre ipotesi di reato, il riciclaggio e la truffa ai danni dello Stato. Per 33 degli indagati le accuse erano di natura fiscale e riciclaggio; 12 furono colpiti da provvedimenti restrittivi della libertà personale.
I conti sono presto fatti: sono passati sei anni esatti e parliamo ancora di ipotesi di reato, di indagati e di accuse perché non è ancora iniziato il processo per quei presunti fatti. Questo in parte perché il giro delle persone che, a vario titolo, avrebbero preso parte a questa maxi mole di false fatturazioni per 33 milioni che avrebbe consentito a
imprese, non solo reggiane, di evadere le imposte sui redditi e l’imposta sul valore aggiunto, si è ampliato enormemente. Dai 41 iniziali, alla chiusura delle indagini preliminari – era l’ottobre del 2018 – gli indagati sono diventati 72: tra loro imprenditori locali anche noti e persone del mondo della comunicazione, dirigenti di società
sportive, l’ex presidente di Cna e un impiegato dell’associazione referente della sede di Bagnolo.
Tempi tecnici molto lunghi per le notifiche, ultimamente il blocco di tre mesi dato dall’emergenza Covid, ma adesso ci siamo. Tra una ventina di giorni Salvi presenterà, per tutti e 72 gli indagati, le richieste di rinvio a giudizio. Si sa già che qualcuno chiederà il patteggiamento. Poi passerà altro tempo per la fissazione dell’udienza preliminare e per l’inizio, quindi, del processo.
E’ forte il rischio che reati considerati “secondari” cadano in prescrizione. Rischio che non c’è, invece, per le ipotesi dell’usura e soprattutto dell’associazione a delinquere. Marco Gibertini è considerato il vertice dell’organizzazione: avrebbe tirato le fila del giro di false fatturazioni che secondo l’accusa aveva ramificazioni anche all’estero. Assieme ad altri quattro indagati, Antonio Silipo, Mirco Salsi, Giuliano Debbi e Omar Costi, pochi mesi dopo quel giugno di sei anni fa è finito coinvolto nella maxi inchiesta contro la ‘ndrangheta, Aemilia.
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