BIBBIANO (Reggio Emilia) – Scadono i termini a disposizione delle difese, quei 20 giorni iniziati il 13 gennaio con la chiusura della fase preliminare delle indagini sui presunti affidi illeciti in val d’Enza. Dal 4 febbraio la procura potrà depositare le proprie richieste ufficiali: di rinvio a giudizio oppure, per qualcuno, di non luogo a procedere, qualora fossero emersi elementi nuovi. Questo periodo infatti è servito ai legali per mettere a punto le proprie strategie e per presentare nuovo materiale. Due indagati dei 26 totali hanno chiesto di essere sentiti dal pm Valentina Salvi. Con tempi tecnici non sempre fluidi come spesso accade, le difese hanno dovuto visionare la documentazione in allegato all’ordinanza: si parla di 40mila pagine di materiale, di cui oltre 20mila di trascrizioni di intercettazioni ambientali e interpersonali. Alcuni avvocati avevano chiesto una proroga dei termini, ma non è stata concessa.
In tutto questo, non è conclusa la vicenda del patteggiamento chiesto dall’assistente sociale Cinzia Magnarelli. Il giudice Andrea Rat ha rigettato l’accordo tra difesa e procura definendo la pena ‘non congrua’ e una nuova udienza deve ancora essere fissata. L’esito di quel procedimento potrà probabilmente costituire uno strumento per altri indagati eventualmente interessati a un patteggiamento.
Manca dunque poco all’inizio del processo, e proprio per questa concomitanza dei tempi non passa inosservata la scelta della procura generale di Bologna di inaugurare l’anno giudiziario non solo mettendo il caso affidi al centro della relazione, ma utilizzando anche parole precise: “Non esiste un sistema Bibbiano”, ha detto Ignazio De Francisci. Più o meno lo stessa sottolineatura che fece sette mesi fa, ovvero subito, chi in pratica l’indagine l’ha condotta, il procuratore capo di Reggio Marco Mescolini. Tra quel giorno e oggi, la vicenda ha viaggiato su binari paralleli di cui uno poco necessario. Da una parte le indagini, dall’altra l’affaire politico.
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