REGGIO EMILIA – Il mito del piccolo imprenditore, capace di partire dal basso e costruire un futuro per sé e la propria famiglia che ha contrassegnato il boom economico degli anni ’60, è definitivamente finito. Adesso arrivano anche i numeri a certificarlo. Con un però: le imprese guidate da stranieri, che negli ultimi dieci anni, dal 2013 al 2023, sono aumentate del 29,5%: 133.734 in più, a fronte di un calo di 222.241 unità, il 4,7%, di quelle con titolari italiani.
Il saldo complessivo resta negativo, ma come in altri settori della nostra economia, la tenuta del sistema è sempre più garantita dal lavoro, anche imprenditoriale, degli immigrati e così oggi su 5.097.617 aziende attive in Italia, ben 586.584, l’11,5%, è a conduzione straniera. A dirlo i dati elaborati dalla CGIA di Mestre che conferma come Reggio Emilia non faccia eccezione.
Nel decennio preso in esame, le persone fisiche che ricoprono cariche imprenditoriali, come amministratori, soci e titolari in aziende attive, in provincia sono diminuite di 7324 unità. Il calo degli imprenditori italiani, -9470, è stato però compensato dalle 2194 aziende in più guidate da immigrati, con un aumento del 26,1%, che colloca Reggio Emilia al 40° posto in Italia e fa salire a oltre 10mila, 10590 per la precisione, gli imprenditori stranieri attivi, 17esimi nel Paese.
Secondo la CGIA la crisi della vocazione imprenditoriale degli italiani è dovuta a tasse, burocrazia, caro-bollette, costo degli affitti e a quel senso perenne di precarietà che attanaglia la vita di tantissime partite Iva. Occasione di autoimprenditorialità che gli immigrati, con maggior necessità di avere risposte immediate ai bisogni quotidiani non si stanno lasciando scappare.