REGGIO EMILIA – “Circa il 35% dell’argilla che utilizziamo viene dalle cave che si trovano proprio nella zona in cui si è svolta la guerra in questa prima fase”, le parole di Giovanni Savorani, presidente di Confindustria Ceramica.
Non bastavano i rincari energetici, che negli ultimi mesi hanno messo in seria difficoltà il settore. Il conflitto in Ucraina rappresenta ora un altro durissimo colpo per il comparto ceramico del nostro territorio. Buona parte dell’argilla utilizzata per le lavorazioni arriva, infatti, dalle cavi esistenti nella zona a sud-est del Paese, tra Zaporisha e Mariupol, nomi di città diventati da un paio di settimane a questa parte drammaticamente famigliari. Forniture ora ovviamente non più utilizzabili.
Molte aziende si stanno ora organizzando per trovare strade alternative su altri mercati, ma non è facile: “Ci sono aziende che si stanno interessando per l’argilla dall’Australia”, ha aggiunto Savorani. L’emergenza energetica e il conflitto rischiano di portare a contraccolpi negativi a livello di produzione e di occupazione. Ci sono realtà che hanno già avviato il confronto con i sindacati per la cassa integrazione. Tante altre hanno un orizzonte molto limitato se non dovessero esserci inversioni di tendenza. “Abbiamo una previsione di resistenza di circa un mese – ha avvertito il numero uno di Confindustria Ceramica – ma i produttori che fanno gli spessorati da 20mm si stanno fermando”.
Per quanto riguarda il blocco sul mercato russo, la percentuale di export ceramico è ridotta, ma comunque significativa dal punto di vista della disponibilità economiche dei clienti: “E’ una percentuale del 3-4%, ma è grave il fatto che si tratta di materiale di altissima qualità e dai costi elevati”, ha concluso Savorani.
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