REGGIO EMILIA – La figura di Genoeffa Cocconi che si intreccia con quella di Antigone. Due personaggi che si illuminano a vicenda in uno spettacolo che vuole, tra le altre cose, raccontare al femminile una storia solitamente raccontata al maschile. Quella dei sette fratelli Cervi, fucilati il 28 dicembre 1943 e rimasti senza sepoltura per quasi due anni con la madre a rivendicare il diritto di piangere e onorare i propri figli.
Sulla scena uno spaccato della vita della famiglia numerosa dei Cervi, mezzadri dediti alla coltivazione del podere “campi rossi”, orientati a innovare la pratica agricola e a formarsi per uscire dalla povertà e rafforzare il pensiero critico.
Non manca la festa, che venne offerta agli abitanti di Campegine alla fine di luglio del ’43 dopo l’arresto di Mussolini. A dar voce all’agorà di Tebe, il coro formato dal regista Eugenio Sideri attraverso una chiamata pubblica. Voci che hanno narrato il contesto del Ventennio, fatto di tirannide e soppressione delle libertà.
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