REGGIO EMILIA – Negli ultimi anni si è circondato di “alcune giovani leve”, così le ha definite la Dda di Bologna, per dare gruppo ad un corpo “parafamigliare”. Giuseppe Arabia però, 59 anni, detto u’ nigro, è sulla scena da vent’anni, da quando era lui stesso una giovane leva della fazione Dragone, essendo diventato il luogotenente di Antonio dopo la morte del fratello Salvatore. Un percorso, quello che ha portato ad allinearsi alla cosca Grande Aracri, non senza scossoni. Stando alle rivelazioni del pentito Antonio Valerio, Pino Arabia doveva essere ucciso: nel 2004, col placet di Nicolino Grande Aracri, Gaetano Blasco si offrì volontario per finanziare il delitto, ritenendo Giuseppe Arabia uno dei responsabili dell’omicidio del fratello.
U’ nigro fu, in pratica, “salvato” dall’operazione Grande Drago, visto che poco dopo venne arrestato. Rimase detenuto per anni, fino al settembre 2014, senza mai smettere, secondo le indagini, di fare colloqui, ricevere visite, incontrare quelle “nuove leve” che poi, una volta fuori, ha incamerato nel gruppo criminale da lui diretto. Tra loro, ad esempio, i nipoti Giuseppe e Nicola, anche loro arrestati con l’operazione Ten, che avevano il compito, si legge nell’ordinanza, di “fungere da elementi di coordinamento tra il boss detenuto e i sodali in libertà”; o il genero Giambattista di Tinco, tra gli indagati di Minefield e principale accusato dell’operazione Ottovolante, che contribuì, per gli inquirenti, “a quel processo di fusione delle antiche fazioni per arrivare ad una stabile cooperazione”.
Poi Giuseppe Arabia trascorse in carcere circa sei mesi anche nel 2018, accusato di essere coinvolto nel pestaggio ai danni di un uomo che reclamava stipendi non pagati da una ditta di trasporti il cui titolare occulto era Arabia. Nel corso delle sue più o meno lunghe detenzioni, “Giuseppe Arabia – scrivono gli inquirenti – ha affiancato esponenti della ‘ndrangheta e condiviso con loro tempo, vicende e modalità di azione”.
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