REGGIO EMILIA – Fredda e distaccata nei confronti delle sorti della figlia, la sera dell’omicidio come nei giorni successivi. Viene descritta così Nazia Shaheen, la madre di Saman Abbas, in diversi passaggi delle motivazioni della sentenza del processo di primo grado.
La donna – secondo quanto emerge dalle telefonate intercettate con l’altro figlio, Alì Haider, dopo l’uccisione di Saman – “ha continuato incessantemente a stigmatizzarla e a colpevolizzarla per l’accaduto, preoccupandosi solo di persuadere il figlio a non dire nulla. Nazia – scrivono ancora giudici della Corte d’assise di Reggio che l’hanno condannata all’ergastolo – dà prova di fermezza, lucidità e risolutezza non comuni e di certo molto superiori a quelle del marito che, seppur di rado, mostra almeno momenti di sconforto e cedimento”.
Non ha mai ceduto, invece, Nazia. A partire dalla passeggiata fuori casa con Saman la notte del 30 aprile 2021, notte in cui si consumò l’omicidio: una passeggiata che secondo i giudici avvenne in un orario anomalo, al buio, perché aveva il solo scopo di distrarre la ragazza mentre il padre visionava le chat con il fidanzato Saquib, videoregistrate dal fratello Haider. Poi, il momento in cui i due genitori, a mezzanotte e 11 secondi, uscirono di casa a Novellara per “accompagnare la figlia a morire”. Shabbar sembrava disorientato, mentre Nazia procedeva con passo più risoluto e con un gesto deciso fece segno al marito di fermarsi, prendendo dalla sue mani i documenti della ragazza.
Arrestata in Pakistan dopo la condanna all’ergastolo e una latitanza di oltre 3 anni, Nazia Shaheen per la Corte potrebbe essere stata “l’esecutrice materiale” del delitto. La donna, infatti, scomparve dalle telecamere di viazza Reatino e via Colombo per un minuto, un tempo compatibile a quello della morte per asfissia meccanica: quindi, potrebbe aver partecipato attivamente o aver addirittura commesso personalmente l’omicidio. I giudici riportano, infatti, nelle motivazioni le conclusioni del perito medico legale, la dottoressa Cristina Cattaneo, secondo cui “a esercitare la forza necessaria per provocare la frattura dell’osso ioide di Saman può essere stato sia un uomo sia una donna. Lo strangolamento potrebbe essere stato realizzato anche con un foulard”.
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