TOANO (Reggio Emilia) – “Parassiti” che hanno dimostrato “una spregiudicatezza e una temerarietà fuori dal comune”, scrive il Riesame. Persone che hanno dato prova di “totale disprezzo per la vita degli altri, tanto da lasciare morire il padre e suocero senza fornirgli assistenza sanitaria”. E per cosa? Per i soldi.
Parole e aggettivi riferiti a Silvia Pedrazzini e a Riccardo Guida. E’ molto dura l’ordinanza con la quale il Tribunale della Libertà di Bologna riforma il provvedimento del gip di Reggio Dario De Luca, accoglie il ricorso della procura e dispone nuovamente il carcere per la figlia e il genero di Giuseppe Pedrazzini. I due, per ora, non andranno dietro le sbarre: sarà la Cassazione a esprimersi in maniera definitiva. Il loro avvocato, Ernesto D’Andrea, ha già annunciato che farà ricorso. Per ora, continueranno ad adempiere alla misura dell’obbligo di firma e di dimora fuori Regione. Per quanto riguarda Marta Ghilardini, la vedova di Giuseppe e anche lei indagata, il Riesame ha ritenuto sia sufficiente la misura attuale dell’obbligo di firma e di dimora a Toano.
Il corpo senza vita del 77enne di Cerrè Marabino di Toano venne trovato nel giardino di casa, sul fondo di un pozzo profondo 8 metri e coperto da una lastra di pietra pesante 120 chili. Era lo scorso 11 maggio: secondo l’accusa, Pedrazzini era lì cadavere da due mesi e prima era stato segregato in casa dai tre fin dal 18 dicembre. A differenza di quanto stabilito dal gip De Luca, infatti, il tribunale di Bologna – giudice estensore Rocco Criscuolo – ritiene che esistano gravi indizi rispetto all’accusa di sequestro del 77enne. Nonostante un accesso al pronto soccorso il 9 dicembre scorso per un mancamento che aveva causato una caduta, nei giorni successivi il 77enne aveva guidato l’auto ed era stato visto in giro.
Secondo i giudici di Bologna, i tre indagati lo avrebbero progressivamente convinto che veniva tenuto in casa per il suo bene, con le porte chiuse a chiave. Invece, nel frattempo, dicono sempre gli inquirenti, la figlia e il genero iniziavano a vendere alcuni attrezzi agricoli del parente. Il 77enne si sarebbe infatti rifiutato di mantenere i due, che erano in difficoltà economiche. Pedrazzini sarebbe poi peggiorato il 3 marzo a causa di un’ernia e non sarebbe stato fatto visitare. La vedova, nelle sue spontanee dichiarazioni alla procura, ha detto che il marito è morto l’8 marzo. Dopodiché, i tre si sarebbero sbarazzati del corpo gettandolo nel pozzo e avrebbero ingannato i carabinieri, inviando e-mail nelle quali si diceva che il 77enne si era allontanato spontaneamente; avrebbero truffato lo Stato, inducendo l’Inps nell’errore e continuando a percepire la pensione di anzianità e quella di invalidità di Giuseppe.
La vedova, nell’ultimo interrogatorio in procura, ha riferito, parlando di un piano di segregazione dell’uomo, di una sorta di “riunione di famiglia”: “Bisognava che fossimo tutti d’accordo”, ha detto. Anche il nipote minorenne di Giuseppe Pedrazzini, il figlio degli indagati, è stato ascoltato dagli inquirenti: il ragazzino ha detto di aver visto “il nonno piangere perché non poteva vedere i sui amici”.
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