TOANO (Reggio Emilia) – Il marito sarebbe morto tra le sue braccia, di morte naturale. La figlia e il genero si sarebbero occupati della sparizione del cadavere, trascinandolo con un telo fino al pozzo. Una volta tolto il masso posto sulla botola per sicurezza, e dopo avere aperto lo sportello, avrebbero fatto scivolare il corpo all’interno.
Sarebbe questa la versione di Marta Ghilardini, raccontata ieri in procura in un colloquio durato più di tre ore. Dichiarazioni spontanee corrispondenti a quelle rese ai carabinieri di Castelnovo Monti sabato scorso quando a sorpresa, senza avvertire il proprio avvocato, si era presentata in caserma. Nello stesso luogo dove 16 giorni prima era stata portata di mattino presto, subito dopo il riconoscimento del cadavere del marito recuperato dai sommozzatori da quel pozzo che Giuseppe Pedrazzini usava per irrigare l’orto.
Davanti alla pm Piera Giannusa, titolare dell’inchiesta, la vedova 63enne ha dunque fornito una seconda volta, tali e quali, dettagli e circostanze riguardanti il caso in generale, rispondendo a tutte le domande. Un colloquio che assume i contorni di una confessione. Con lei, convocata, stavolta c’era il suo legale difensore, che non conferma ma nemmeno smentisce il fatto che i chiarimenti forniti dalla sua assistita contengano delle accuse nei confronti della figlia e del genero, indagati in concorso con lei per omicidio, sequestro di persona e soppressione di cadavere.
Marta Ghilardini avrebbe indicato l’8 marzo come data del decesso. Una morte tenuta nascosta, dunque, per mesi. Circostanza che farebbe configurare, come movente, l’intenzione da parte dei famigliari di continuare a percepirne la pensione. Marta Ghilardini attualmente abita in un immobile di sua proprietà a Toano ed è sottoposta all’obbligo di dimora. Fuori dai confini dell’Emilia Romagna è tenuta a stare la coppia formata da Silvia Pedrazzini e Riccardo Guida, rispettivamente figlia e genero di Pedrazzini. Tutti e tre gli indagati erano stati scarcerati dopo avere trascorso quattro giorni in carcere. Dal peso che gli inquirenti daranno alle dichiarazioni appena raccolte e dai risultati dell’autopsia dipenderanno eventuali rivalutazioni delle misure cautelari adottate.
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