REGGIO EMILIA – C’è un rischio grosso per i patrimoni tolti temporaneamente alla mafia: è la svalutazione. Guardiamo in casa nostra, ai beni bloccati con l’operazione contro la ‘ndrangheta Aemilia. E’ vero che in questi cinque anni sono state fatte operazioni temporanee che hanno cercato di valorizzare immobili e mezzi, come a Sorbolo (Pr) con alcuni appartamenti dati in locazione o a Modena, dando camion per 14 milioni di euro ai vigili del fuoco.
E tra poco vedrà la luce un progetto di qualificazione nel Reggiano, ma la strada è lunghissima e a dettare l’agenda non sono né i tribunali né l’Agenzia dei beni confiscati, ma il legislatore. “Il problema è che il nuovo codice antimafia è troppo farraginoso, diventa sostanzialmente un procedimento fallimentare” ha spiegato Rosario Di Legami, amministratore giudiziario dei beni sequestrati nell’indagine Aemilia.
Una volta che, ricorso dopo ricorso, dal sequestro si arriva alla confisca definitiva del bene, inizia il periodo di verifica della buona fede dei creditori, dai lavoratori alle banche: devono dimostrare di essere stati ignari della strategia malavitosa e non collusi. Dopodiché, si procede a eventuale liquidazione e solo dopo, se rimane qualcosa, a eventuale assegnazione allo Stato. “Durante la verifica di buona fede – ha aggiunto Di Legami – è prevista l’opposizione in tre gradi: possono passare anche sette anni”.
A parte la ditta del modenese Augusto Bianchini, il 90% del patrimonio sequestrato in Aemilia ha seguito il filone abbreviato ed è quindi nella fase della confisca definitiva, ma appunto in pendenza della verifica della buona fede. Per l’avvocato, che nel novembre del 2018 era anche stato destinatario di minacce in virtù del suo lavoro, è assolutamente necessaria una modifica del codice. “Coniugando i diritti dei creditori con la finalità sociale e la celerità”.
L’amministratore giudiziario invita anche a riflettere sul poco controllo del sistema di finanziamento messo in campo per aiutare le imprese in emergenza Covid. Secondo lui, sono fondamentali una banca dati, un conto corrente dedicato, l’obbligo della rendicontazione dell’utilizzo dei 25mila euro.
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