REGGIO EMILIA – E’ una vicenda ancora da decifrare e a suo modo istruttiva quella del ricorso al Tar presentato da Iren per ottenere l’annullamento del bando di gara per la gestione del servizio idrico.
Dopo il referendum sull’acqua pubblica del 2011, gli enti locali reggiani si posero – pressoché soli in Italia – il tema di dare una risposta all’esito referendario. Dopo lunghe valutazioni, non se la sentirono di riportare la gestione in capo a una società interamente pubblica perché temettero di esporre i Comuni a rischi finanziari troppo elevati. Scelsero invece di creare una società – chiamata Arca – controllata dai Comuni, ma partecipata con una quota di minoranza da un’azienda privata del settore. Sarebbe spettato a questo socio di minoranza occuparsi della gestione operativa del servizio idrico.
La scelta dei sindaci reggiani fu criticata dai comitati per l’acqua pubblica, che videro in essa una mancanza di coraggio e la volontà di non mettere in discussione il ruolo di Iren. Chi infatti, se non Iren, sarebbe stato scelto come socio di minoranza incaricato della gestione operativa? In molti commenti si dava per scontato che il bando di gara sarebbe stato cucito su misura per il gestore uscente. E invece oggi è proprio Iren a chiedere al Tar di annullare il bando. Al di là delle eventuali ragioni di Iren, bisogna come minimo riconoscere che Atersir, l’Agenzia territoriale per i servizi idrici, non ha scritto il bando per favorire qualcuno.
Detto questo, resta il nocciolo della questione: un gruppo dei servizi pubblici controllato dagli enti locali di Reggio, Torino e Genova muove contro un’agenzia pubblica che è diretta espressione degli enti locali emiliano-romagnoli e che, in questo specifico caso, ha tradotto in un provvedimento tecnico la volontà politica dei sindaci reggiani. E’ uno di quei paradossi che a volte si incontrano quando i nodi vengono al pettine.
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