REGGIO EMILIA – Nel duello per il futuro di Ferrarini, tutto il mondo agricolo si è schierato pubblicamente a favore della proposta del gruppo Bonterre. Perché un appoggio aperto a una delle due proposte in campo e tanta freddezza verso il gruppo Pini di Sondrio? Lo abbiamo chiesto ad Antenore Cervi, presidente dell’Associazione allevatori suinicoli dell’Emilia-Romagna. La sua risposta è che nel progetto di Bonterre gli allevatori, attraverso l’organizzazione di prodotto Opas, sono partner, mentre nella proposta di Pini sono tutt’al più fornitori e probabilmente neppure quello. “Porto l’esempio di Langhirano: si producono 27 milioni di cosce, ma solo 9 vengono marchiate come Dop. Vuol dire che l’industriale sceglie la materia prima indipendentemente dall’italianità e dalla qualità”.
Il quadro complessivo è questo. Ferrarini ha un fabbisogno di oltre 850mila cosce all’anno. Già oggi ne acquista buona parte all’estero. E in futuro da dove arriveranno? Con Bonterre saranno fornite dagli allevatori locali soci della cordata, con Pini invece dai macelli del gruppo, che trasformano 11,5 milioni di cosce all’anno. Per oltre il 70% si tratta di suini spagnoli e ungheresi. Ma perché un maiale italiano dovrebbe essere meglio di un maiale allevato in Spagna o in Ungheria? “Ha un disciplinare che impone un’alimentazione di cereali, proteine da soia e cruscami, mentre per il suino europeo si possono usare anche sottoprodotti. Tutto legittimo, ma è un altro suino”.
Alla base della scelta di molte grandi aziende del settore di utilizzare maiali europei anziché italiani ci sono ragioni economiche. “Il suino nordeuropeo che viene prodotto in Spagna, in Olanda e in Germania, viene usato soprattutto per il lombo e il bacon. La coscia per assurdo è un sottoprodotto e quindi costa meno, quasi la metà, dipende dai momenti”.
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