REGGIO EMILIA – Da Ginevra a Bali. In qualsiasi momento, in pochi minuti, si organizzavano e partivano a seconda della richiesta di uomini. E infatti l’operazione “Ladri di legge” ha attivato le polizie di Belgio, Grecia, Polonia, Ungheria, Slovenia. Ma l’indagine è degli inquirenti reggiani, perché dovunque andassero gli appartenenti all’associazione partivano da, o tornavano a, Reggio Emilia; la “nostra patria” dicevano loro nelle intercettazioni.
“Loro” sono i membri di due associazioni a delinquere transnazionali: una di matrice georgiana, l’altra di matrice ucraina. 62 le misure di custodia cautelare – 58 in carbere e 4 ai domiciliari – in fase di esecuzione, 36 delle quali all’estero; 33 le perquisizioni, solo nelle ultime ore, in altrettanti appartamenti in città nei quali vivevano. Impossibile stabilire quanti furti siano stati commessi: i colpi in appartamento da parte dei georgiani erano giornalieri tra il reggiano, il modenese, il bolognese, oppure in trasferta. Gli ucraini pensavano al ricettaggio. Per ora è stata recuperata la refurtiva di una ventina di furti.
“Ladri di legge”, Kanonieri K’urdi in georgiano, è un’espressione che risale alla Russia zarista e poi alla repressione stalinista. “Un’associazione che nasce come reazione rispetto alle pene sproporzionate che venivano comminate per reati bagatellari”, spiega il procuratore capo Marco Mescolini. La segretezza era fondamentale, tanto che era vietato sposarsi; poi si sono resi conto che sposandosi avrebbero dato meno nell’occhio. “Era un gruppo segreto agli stessi cittadini appartenenti alla comunità georgiani”.
Tutto aveva un significato: dai tatuaggi, al gergo, all’ossequio riservato al “ladrone”, il capo, con doni portati a Reggio da Padova per lui a fine 2016, in occasione di una riunione avvenuta in un negozio in periferia. C’era un “codice dei ladri”. “In un’intercettazione uno rimprovera un altro di aver rubato il salvadanaio di un bambino, dice ‘non sono cose da codice dei ladri'”, fa notare il dirigente della squadra mobile Guglielmo Battisti.
La cellula operativa era di 3-4 persone: il soldato semplice era affidato a qualcuno di più esperto, “più autonomo nel forgiare chiavi che non lascino segni di effrazione”, continua Battisti.
L’indagine è iniziata nel 2015 ma squadra mobile e procura sono risaliti al 2012, all’episodio nelle cantine di via Mantegna dove un georgiano aveva tentato di prendere la pistola di un agente. Stessa cosa nel 2017 in via Emilia San Pietro.
Hanno messo assieme i pezzi con capacità, lavoro e con lo sprint finale di questi mesi. Un centinaio gli agenti in campo, col supporto dei colleghi di Roma e del servizio di cooperazione internazionale. “Sono orgoglioso di loro: non è un’operazione della polizia di Reggio ma un’operazione della polizia di stato italiana”, chiosa il questore Giuseppe Ferrari.
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